Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
santa Messa in suffragio di papa Francesco

«Chi è il più potente deve mettersi al servizio degli altri». Questo gesto colpì subito profondamente per la sua semplicità e per la potenza del messaggio: il papa non come autorità distante, ma come servo degli ultimi, vicino a chi vive il dolore, l'emarginazione e la speranza di una seconda possibilità.
E nel suo magistero, il papa ci ha più volte chiamati a ritornare all'essenziale, a non confondere la Chiesa con un'organizzazione sociale, a non smarrire la potenza del vangelo. Quante volte ci ha invitati a lasciarci sorprendere dalla «tenerezza di Dio», a non avere paura della misericordia!
C'è un messaggio che ha caratterizzato tutto il pontificato del papa argentino ed è il cuore del cristianesimo, quello della misericordia. Egli, fin dal primo angelus recitato il 17 marzo 2013, ci ha ricordato che la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio (cf. Gc 2,13): «Colpisce l'atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione». Ha testimoniato il volto materno di una Chiesa che si china su chi è ferito, in particolare su chi ha peccato. «Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici»: così ha scritto nella bolla di indizione del giubileo straordinario della misericordia Misericordiae vultus. E nel messaggio per la quaresima del 2015 auspicò: «Quanto desidero che le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell'indifferenza!».
Come Pietro, anche Papa Francesco ha parlato con franchezza, talvolta rompendo schemi, scuotendo coscienze, ma sempre con uno sguardo pieno di amore per la Chiesa e per l'umanità. È stato il papa delle prime volte: primo papa gesuita; primo papa a chiamarsi Francesco, per ricordarci tutti coloro che sono dimenticati dalla società egoistica, tecnologica e perbenista; primo papa che non ha vissuto nell'appartamento del palazzo apostolico per stare in mezzo alla gente. E il giorno prima della sua morte ha chiesto di essere accompagnato in piazza San Pietro per salutare il suo popolo. Il pontefice venuto dalla fine del mondo si è fatto vicino a tutti accogliendo e abbracciando tutti, senza aver paura di sporcarsi le mani e di portare su di sé l'odore delle pecore. L'ho visto pranzare e cenare a Casa Santa Marta come tutti gli altri. Si fermava all'ingresso per parlare con la gente. Ha voluto apparire sempre come un uomo normale anche in precarie condizioni di salute. Umanità, semplicità e sguardo limpido con cui incontrava chiunque, sono le caratteristiche della sua persona.
In questi anni, diversi sono stati i momenti in cui personalmente ho potuto incontrarlo, ricevendo parole di affetto, di sostegno e di fiducia, in particolare durante il corso di formazione dei vescovi ordinati nel 2021. Egli, vedendo la mia giovane età, come un papà, teneramente mi diede una pacca sulla spalla e disse: «Coraggio, coraggio». In seguito, quando lo avvicinai all'Aquila, in occasione della festa della perdonanza celestiniana del 2022, gli dissi che aveva l'età di mio padre che era deceduto da qualche anno. Egli mi rispose affermando che per me era papa e nel contempo faceva le veci del mio papà. Ancora un altro incontro avvenuto lo scorso anno quando ha ricevuto i vescovi ad limina della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. In quell'occasione con papa Francesco abbiamo avuto la possibilità di un colloquio profondo, in cui si è interessato delle gioie e delle fatiche del ministero episcopale di ogni vescovo dell'Abruzzo e del Molise, offrendo a ciascuno, senza alcuna fretta, come un padre attento e premuroso, preziosi suggerimenti e indicazioni. In occasione poi della festa dell'Azione cattolica in piazza San Pietro, il 25 aprile dello scorso anno, gli dissi che il coro che stava animando l'evento era costituito da giovani marsicani e gli chiesi una particolare benedizione per loro e per tutti i fedeli della Marsica. Mi sorrise compiaciuto pronunciando parole di apprezzamento per i giovani del coro diocesano.
Nel vangelo, i discepoli di Emmaus raccontano di aver riconosciuto Gesù «nello spezzare il pane», e proprio mentre parlano, il risorto si fa presente in mezzo a loro. Dice: «Pace a voi!». Questa è stata la missione di papa Francesco: portare pace, riconciliazione, fraternità. In un mondo lacerato da divisioni, violenze, e indifferenza, la sua voce è risuonata chiara: «Tutti fratelli!». Così ha intitolato una delle sue encicliche più potenti, proponendo un mondo più umano e più giusto, dove nessuno venga escluso. Spesso la sua voce è stata l'unica voce che ha ripudiato la guerra e ogni forma di violenza. L'unica voce che ha gridato il desiderio di pace.
Nel vangelo, i discepoli restano sconvolti, faticano a credere. Anche noi, tante volte, facciamo fatica a riconoscere il volto di Gesù nella realtà che ci circonda. Ma papa Francesco ci ha insegnato a cercarlo nei poveri, nei migranti, nei malati, in chi è scartato. Ci ha aiutato a vedere che ogni volto umano è volto di Cristo.
E come Gesù nel vangelo «aprì loro la mente per comprendere le Scritture», anche il papa ha saputo aprire il cuore di tanti al vangelo, con parole semplici ma profonde, capaci di toccare la coscienza anche di chi si era allontanato dalla fede.
Cari fratelli e sorelle, oggi rendiamo grazie per l'anima di questo uomo di Dio. Papa Francesco ci lascia una grande eredità: una Chiesa che cammina, che ascolta, che accoglie. Una Chiesa meno preoccupata di se stessa e più attenta alle ferite del mondo.
Ci ha insegnato a essere cristiani non «da salotto», ma in uscita. Ci ha insegnato che la fede non è un rifugio, ma una chiamata a servire. Ci ha insegnato che la gioia del vangelo è più forte di ogni paura.
Nel suo testamento spirituale – fatto non solo di parole ma di gesti – ci ha mostrato che si può vivere da credenti nel nostro tempo, senza rinunciare alla radicalità del vangelo.
Preghiamo oggi perché il Signore accolga papa Francesco nel suo abbraccio di luce. Che possa contemplare finalmente quel volto di Cristo che ha tanto amato, predicato, cercato nei fratelli e nelle sorelle.
E noi, lasciamoci ispirare dal suo esempio. Non rendiamo vano il seme che ha piantato con la sua vita. Continuiamo a camminare, insieme, come ci ha spesso detto: «Avanti! Sempre avanti!».
In tanti in questi giorni si lasciano andare a previsioni circa il nuovo pontefice. A noi non tocca fare previsioni, redigere classifiche. Il nostro compito è pregare nella certezza che il Signore manderà il pastore giusto per il bene del suo popolo. Amen.

 

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
santa Messa crismale

Cari fratelli e sorelle, cari sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, seminaristi, e voi, popolo amato di questa nostra Chiesa diocesana. È davvero una gioia essere qui oggi, riuniti come famiglia, per questa celebrazione così bella e profonda che è la Messa crismale. È una delle liturgie più significative di tutto l'anno, perché ci ricorda chi siamo, a chi apparteniamo e per cosa siamo stati chiamati.
Oggi il Signore ci riunisce intorno al suo altare per benedire gli oli santi che saranno usati nei sacramenti: per accompagnare i catecumeni nel cammino del battesimo, per ungere e consolare i malati, e per consacrare con il crisma coloro che saranno battezzati, cresimati, ordinati. Ma soprattutto, oggi è il giorno in cui, come vescovo, guardo con affetto a ciascuno di voi, e in modo speciale ai sacerdoti che condividono con me il dono e il peso della missione pastorale.
Sì, carissimi fratelli sacerdoti: oggi è la vostra festa. Oggi rinnovate le promesse fatte nel giorno della vostra ordinazione. È un momento intimo, personale, ma che coinvolge tutta la Chiesa. E io, a nome di tutta la diocesi, voglio dirvi un grande e sincero grazie. Grazie per il vostro ministero, per la vostra dedizione, per quella presenza silenziosa ma essenziale nella vita della gente. So che a volte il cammino è faticoso, che si sperimenta la solitudine, che ci sono giorni di stanchezza e di dubbio… ma ricordate: non siete soli. Siete amati. Siete sostenuti dalla preghiera del popolo. E soprattutto, Cristo è con voi. Lui non vi lascia mai.
Abbiamo ascoltato parole forti oggi nella liturgia. Isaia ci ricorda che lo Spirito del Signore ci ha unti per una missione: per portare speranza, guarigione, libertà. Non è poesia. È realtà. È quello che facciamo ogni giorno, quando ascoltiamo, accompagniamo, benediciamo, perdoniamo, stiamo accanto.
Gesù, nel vangelo, prende proprio quel brano e dice: «Oggi si è compiuta questa Scrittura». E sapete una cosa? Lo dice anche a noi. Ogni volta che un sacerdote o un fedele si prende cura di un povero, di un malato, di una famiglia in difficoltà, lì si compie la Scrittura. Lì, Cristo è presente.
Anche il libro dell'Apocalisse ci ricorda che tutti noi, battezzati, siamo un popolo sacerdotale. Questo vuol dire che ognuno ha una responsabilità. Non solo i preti. Tutti. Perché tutti siamo stati unti con l'olio della grazia, chiamati a vivere con amore e a testimoniare la fede. La Messa crismale è perciò una festa per tutti e non solo per i sacerdoti in quanto in essa si manifesta la bellezza del sacerdozio ministeriale al servizio del sacerdozio battesimale del popolo santo di Dio.
E allora permettetemi qualche parola per voi, cari fedeli laici. Grazie per la vostra presenza, per il vostro servizio silenzioso e generoso nelle parrocchie, nelle famiglie, nel lavoro. Grazie perché ci sostenete con la preghiera, con la collaborazione, con l'affetto. La Chiesa siete voi. Noi sacerdoti non potremmo nulla senza di voi. Continuate a voler bene alla vostra Chiesa. È una Chiesa bella, anche con le sue fragilità. E con il passare del tempo mi sembra sempre più bella. È bella perché è la sposa amata da Cristo.
Mi viene in mente un passaggio dell'enciclica Dilexit nos, che ho riletto e meditato in questo tempo di quaresima e che vi invito a leggere perché è un testo molto profondo: «Cristo non ha scelto i suoi ministri perché migliori, ma perché li amava. E attraverso di loro ha voluto amare il suo popolo» (DN 12).
E ancora: «L'amore del Signore non si basa sulle prestazioni, ma sulla fedeltà. È un amore che resta anche quando noi cadiamo, anche quando ci sentiamo aridi. È lì che il sacerdozio mostra tutta la sua verità: nel rialzarsi, nel ricominciare, nel donarsi ogni giorno» (DN 28).
Che belle queste parole. Ce lo dobbiamo ricordare sempre, tutti: il Signore ci ha amati per primo. E continua ad amarci. Non si stanca mai di noi. E questo è il fondamento del nostro servizio.
E in questa quaresima, attraverso le tre liturgie penitenziali, abbiamo vissuto un'esperienza rinnovata della misericordia di Dio. Riconoscere il proprio peccato non è un segno di debolezza bensì è smettere di mentire a se stessi. Donarsi reciprocamente il perdono è un modo per guarire le relazioni perché riapre il dialogo e manifesta la volontà di ristabilire il legame nella carità fraterna. La Messa crismale ci ricorda che è proprio lo Spirito a farci diventare portatori di speranza, a renderci segno dell'amore di Dio nel mondo.
E allora, fratelli e sorelle, lasciamoci ungere anche oggi. Lasciamoci rinnovare nel cuore. Lasciamo che il profumo del crisma ci ricordi chi siamo: consacrati per amare, inviati per servire. La migliore risposta all'amore di Cristo è l'amore per i fratelli, non c'è gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore. Nella vita di un cristiano non ci sono cose da fare bensì persone da amare.
Preghiamo gli uni per gli altri. Preghiamo per i nostri sacerdoti. Preghiamo per questa nostra diocesi. Perché possa davvero essere una Chiesa che profuma di vangelo, che accoglie, che consola, che cammina con tutti. E affiché la nostra Chiesa dei Marsi profumi di vangelo ha bisogno di uomini e donne innamorati, capaci di lasciarsi ancora conquistare da Cristo e che non possono fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita. Perciò li addolora perdere tempo a discutere di questioni secondarie, perché la loro principale preoccupazione è comunicare quello che vivono, e soprattutto che gli altri possano percepire la bontà e la bellezza dell'Amato attraverso i loro poveri sforzi. Non è forse questo ciò che accade a qualsiasi innamorato desideroso solo di raccontare l'amore che gli ha riempito la vita?
E concludo con un'altra piccola perla dell'enciclica Dilexit nos: «Cristo ti chiede di non vergognarti di riconoscere la tua amicizia con lui bensì di avere il coraggio di raccontare agli altri che è un bene per te averlo incontrato… Ma non dimenticare che gli atti d'amore verso i fratelli sono il modo migliore e talvolta l'unico possibile di esprimere agli altri l'amore di Gesù… La Chiesa e il mondo intero non sono una fortezza da difendere, ma una casa da abitare, una tavola da condividere, una ferita da curare» (DN 45).
Che questa pasqua ormai vicina, in questo giubileo della speranza, ci trovi con le mani unte di bene, i cuori pieni di fiducia e gli occhi capaci di riconoscere Cristo nei volti di chi ci è accanto. Amen.


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Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato
trasmessa in diretta nazionale su RaiUno

Il mese di settembre è il tempo che la Chiesa dedica al tema della custodia del creato. La Giornata mondiale di preghiera che ricorre il 1° settembre, segna infatti l'inizio del tempo del creato, che si conclude il 4 ottobre, festa liturgica di san Francesco d'Assisi.
Come Chiesa dei Marsi siamo onorati e contenti di ospitare quest'anno qui in questa nostra terra, su scala nazionale, la XIX giornata per la custodia del creato. La Marsica si caratterizza per la bellezza e la varietà del suo territorio con le sue zone di pianura, collina e alta montagna. Gran parte del territorio diocesano è sotto la tutela del Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise e del Parco regionale Sirente-Velino. È una terra bella, accogliente, caratterizzata dalla bontà della gente e dalla bellezza del creato. Tutto ciò che Dio ha creato è bello. Una bellezza però che va tutelata e preservata.
Nella lettera enciclica Laudato si', papa Francesco coraggiosamente denuncia il saccheggio che si opera contro la natura e contesta quello che è a monte di questo atteggiamento, cioè lo sfrenato e demoniaco desiderio di volere a tutti i costi dominare il creato. Sono sotto gli occhi di noi tutti le problematiche legate alla tutela delle risorse idriche o ai cambiamenti climatici, che si fanno sentire anche nel nostro territorio, determinando la sensibile variazione delle caratteristiche climatiche degli habitat – anche quelli delle porzioni sommitali delle montagne – con conseguenze negative per le specie animali e vegetali che vi abitano e per la popolazione segnata, nell'accoglienza turistica, dall'incertezza climatica.
Nella pagina evangelica appena ascoltata, Gesù pone ai suoi discepoli l'interrogativo: «La gente chi dice che io sia?». La risposta della gente non afferra la novità di Gesù e lo allinea con gli altri profeti. La risposta di Pietro è invece precisa e riconosce Gesù come il Cristo, il Messia. Ma c'è modo e modo di pensare la messianicità di Gesù. Dire che Gesù è il Messia è esatto. Tuttavia c'è sempre il pericolo di pensare la sua messianicità secondo il pensiero degli uomini. Gesù avverte pertanto il bisogno di precisare che sì è il Cristo, ma deve molto soffrire.
Di fronte a questo annuncio, Pietro cerca di distogliere Gesù dalla via della croce, dell'amore fino al dono di sé, per sostituirla con una via, elaborata dal pensiero degli uomini, che è la via dell'egoismo e dell'arroganza.
«Perché tanto male nel mondo?» , si chiede papa Francesco nel messaggio scritto per l'odierna giornata, dal titolo Spera e agisci con il creato. «Perché tanta ingiustizia, tante guerre fratricide che fanno morire i bambini, distruggono le città, inquinano l'ambiente vitale dell'uomo, la madre terra, violentata e devastata?». La risposta è in quella sottile ma accattivante tentazione di satana che distoglie l'uomo dall'amore e lo induce a sentirsi padrone assoluto.
«La creazione intera geme – scrive ancora papa Francesco – perché l'uomo ha ridotto la natura a oggetto da manipolare. Solo l'obbedienza allo Spirito d'amore può cambiare radicalmente l'atteggiamento dell'uomo da predatore a coltivatore del giardino».
Ed è lo Spirito di amore ad animare il servo del Signore di cui ci ha parlato il profeta Isaia nella prima lettura. Il servo del Signore è un personaggio individuale ed è, nel contempo, una personificazione del popolo, è un profeta del passato e insieme una profezia del Messia futuro. Ciò che caratterizza la sua fisionomia è l'obbedienza allo Spirito di Dio e il coraggio di fronte alle avversità.
Obbedienza allo Spirito di Dio e coraggio sono gli atteggiamenti necessari per invertire la rotta e crescere nella corresponsabilità per un'ecologia umana, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che viviamo.
«Sono già trascorsi otto anni dalla pubblicazione della Laudato si', ma con il passare del tempo le reazioni e le misure adottate risultano sempre più insufficienti, mentre allo stesso tempo il mondo che ci accoglie sta cadendo a pezzi e probabilmente si sta avvicinando a un punto di rottura». È il grido amaro che papa Francesco ha lanciato nella esortazione apostolica Laudate Deum.
Sperare e agire con il creato significa non scoraggiarsi davanti alla barbarie umana e affrettarsi, prima che sia troppo tardi, a unire le forze, camminando insieme per fare ciascuno la propria parte a difesa del creato.
Unire le forze è anche ciò che può consentire alle aree interne, che costituiscono la parte consistente e fragile di tutto il Paese, di custodire forse la sua risorsa più grande. In un tempo in cui la distanza relazionale crea vere e proprie disconnessioni umane e lo spazio, quello verde, soprattutto, va rarefacendosi; queste vaste zone di territorio, dotate di relazioni vere, di paesaggio e di un ricco patrimonio religioso, storico e artistico, si rivelano di una ricchezza sorprendente anche allo sguardo più distratto. Solo rafforzando un senso di comunità e di appartenenza è possibile fare in modo che queste aree siano valorizzate e non depauperate delle loro preziose risorse.


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Foto di Marcello De Luca

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale di San Bartolomeo in Avezzano
per la santa Messa di chiusura della fase diocesana del sinodo

8 maggio 2022

In questa celebrazione vogliamo ringraziare il Signore per il cammino percorso in questi mesi sotto la guida dello Spirito Santo. Il tempo della pandemia ci sembrava il meno adatto per il sinodo, eppure il cammino sinodale ha dato a molte parrocchie la possibilità di ritrovarsi. La risposta emotiva al sinodo è stata spesso di perplessità e dubbio, mentre durante il cammino è emersa sempre di più la gioia. La gioia di incontrarsi tra presbiteri, religiosi, religiose, e poi con i laici, con i sindaci, con i bambini e i ragazzi, con la comunità evangelica, con i poveri, con gli studenti, con i docenti. L'inizio del cammino sinodale in diocesi è coinciso con l'inizio del mio ministero episcopale e la necessità di una reciproca conoscenza poteva ritardare o rallentare il cammino.
In realtà ho subito trovato in tutti voi una grande disponibilità, una grande voglia di mettervi in cammino. Io da subito mi sono fidato di voi, dei vostri suggerimenti, e voi avete riposto in me la vostra fiducia e abbiamo così intrapreso, sotto l'azione dello Spirito Santo, un cammino che non termina oggi perché destinato a proseguire nel tempo, facendo però tesoro di quanto lo Spirito Santo ha suggerito nei diversi appuntamenti sinodali che ci sono stati nelle parrocchie, nelle foranie, negli uffici pastorali e in altri ambiti anche al di fuori di quelli a noi usuali e familiari. La programmazione pastorale del prossimo anno partirà di certo dalla sintesi diocesana di cui, prima di questa celebrazione, abbiamo ascoltato alcuni stralci.
E con il desiderio vivo di continuare a camminare insieme vogliamo fare tesoro di quanto la parola di Dio oggi ci suggerisce. L’accento della quarta domenica di Pasqua cade sempre su Gesù come pastore: il Gesù, che ha guidato i suoi discepoli durante la sua vita itinerante e di annuncio del regno di Dio, ha formato una comunità, ha fatto di alcune persone eterogenee, in buona parte modeste, a volte litigiose, a volte gelose, una comunità. Di queste pecore riottose, malate, alcune deboli, altre forti e prepotenti, ha fatto il piccolo gregge capace di camminare insieme e di essere segno del regno di Dio nella storia e, al di là di tutti i miracoli narrati dai Vangeli, questo è il miracolo veramente grande, la sconcertante impresa che Gesù ha portato a termine.
Gesù si presenta come il vero pastore del popolo di Dio. È lui che ha fatto di uomini e donne litigiosi una vera comunità. «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute» (Gv 10,27-28). In queste parole noi ritroviamo le azioni di Gesù buon pastore, ma anche le azioni di coloro che vogliono far parte della comunità di Gesù. L'opera di Gesù si esplica in quattro azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce. Il buon pastore è colui che è attento alle sue pecore, rivolge le sue parole e se ne prende cura. Gesù è colui che ci ama, così come siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti. La qualità che caratterizza il pastore buono é quella di dare la vita per le pecore. Gesù ci offre la possibilità di vivere una vita piena, senza fine. Il pastore conosce le sue pecore, e non si tratta di una conoscenza astratta. «Conoscere» nella Bibbia indica relazione, reciprocità. Il pastore è colui che si lega alle sue pecore e le aiuta ad attraversare i sentieri più impervi. Gesù è colui che ci aiuta a percorrere le strade rischiose che si presentano nel cammino della vita. Per essere popolo di Dio, per essere una comunità che cammina insieme, dobbiamo lasciarci tutti guidare da Gesù. È la prima indicazione che emerge dalla parola di Dio di oggi. Non assolutizziamo gli incarichi che abbiamo: l'essere vescovo, parroco, superiore o priore di una confraternita, presidente di un'associazione o anche semplicemente maestro di coro o catechista all'interno di una parrocchia, non è un prestigio di cui vantarsi, o una medaglia da esibire, ma semplicemente un servizio da rendere con umiltà.
Nessuno deve sentirsi superiore agli altri, siamo tutti chiamati a lasciarci condurre da Cristo. È lui il nostro pastore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato che i giudei, quando vedono che quasi tutta la città si radunò intorno a Paolo per ascoltare la parola del Signore, «furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo» (At 13,45). Guardiamoci dall’arrivismo, dalla gelosia, dalla sete di protagonismo, dal voler imporre a tutti i costi le proprie convinzioni. Mali questi che riguardano tutti, preti e laici, e che costituiscono i principali ostacoli di uno stile e di un agire autenticamente sinodale. Ai gesti che descrivono il modo in cui Gesù si relaziona con noi, fanno riscontro i verbi che riguardano le pecore, cioè noi. «Ascoltano la mia voce e mi seguono» (Gv 10,27). Ascoltare e seguire Gesù sono azioni fondamentali per camminare insieme. Ascoltare è apertura esistenziale all'altro, è attenzione alla sua persona prima ancora che alle sue parole. In una civiltà tutta dominata dall’avere e dal fare può sembrare che l'ascolto, atteggiamento di per sé passivo, sia a detrimento della propria personalità. Si pensa che l'azione sia ciò che conta davvero, in realtà una cisterna vuota non dà acqua, un uomo che non ascolta e che non è disposto a ricevere, non è in grado di dare. Se si vuole essere di più occorre l’umile atteggiamento di chi sa di aver bisogno di stare molto in ascolto. «L'ascolto – si legge della sintesi diocesana – prima che una tecnica metodologica, utile alla conduzione degli incontri, è stato riscoperto come forma di prossimità esistenziale. L’ascolto genera speranze, elimina il giudizio, lenisce le ferite e rende sostenibili le sollecitudini».
In una società che va sempre di corsa noi non sappiamo più ascoltare. In una società che ci chiede di imporci sempre sugli altri spesso noi non vogliamo ascoltare. Se non ci si ascolta, vescovo e preti, preti e laici, non è possibile camminare insieme. È la seconda indicazione che la parola di Dio ci offre. Accanto all'ascolto la sequela. La sequela richiede fiducia, solo se mi fido dell'altro, non solo ascolto ciò che mi dice, ma addirittura lo seguo, gli do credito, metto in pratica ciò che mi dice in quanto riconosco nella sua voce, la voce di chi mi ama. Riconoscere la voce è l'esperienza con cui ogni figlio, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia, il cuore verso di lei, ed è già felice prima ancora di arrivare a comprendere il significato delle parole. Basta una voce, un suono, un odore per farci capire che siamo tra le braccia giuste, quelle dalle quali non vorremmo essere mai lasciati. La sequela di Cristo, prima ancora che essere un'esperienza razionale fondata su regole, precetti, è un'esperienza d'amore, di appartenenza, di bellezza del sentirsi a casa, protetti e amati. Solo alla luce di questa bellezza possiamo camminare insieme, con il vivo desiderio di trasmettere a tutti la gioia di seguire Gesù.
«Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede – scrive papa Francesco nel messaggio per la odierna giornata mondiale di preghiera per le vocazioni – è un soggetto attivo all'interno della Chiesa. Bisogna guardarsi dalla mentalità che separa preti e laici, considerando protagonisti i primi ed esecutori i secondi e portare avanti la visione cristiana come unico popolo di Dio, laici e pastori insieme, tutta la Chiesa è chiamata a camminare insieme seguendo e annunciando Cristo». Quando la nostra testimonianza di preti e laici è coerente, lontana da ogni forma di arrivismo, protagonismo e gelosia, apriamo ai nostri giovani una strada di vita bellissima. I giovani ci guardano e le nostre ipocrisie fanno loro tanto male. Trasmettiamo loro la bellezza di essere amati da Dio, di volerci bene, di camminare insieme: solo così potranno sentire nel cuore il desiderio di innamorarsi di Gesù e di amare la Chiesa.


 

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