Saluto di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla casa comunale di Avezzano
alle autorità civili e militari

Saluto tutti con riconoscenza e ringrazio il sindaco di Avezzano che, a nome anche degli altri sindaci e delle municipalità che comprendono tutto il territorio della diocesi, mi ha rivolto parole di benvenuto e di incoraggiamento nel giorno in cui ha inizio il mio ministero pastorale nella diocesi dei Marsi.
Saluto il sindaco di Andria, avv. Giovanna Bruno, che mi ha accompagnato. La sua presenza è come una consegna che unisce, a partire da oggi, le due comunità.
È significativo che uno dei primi incontri che il nuovo vescovo fa all’ingresso della sua diocesi sia con voi, gentili autorità civili e militari, espressione dell’accoglienza dell’intera popolazione.
Vi sono molto grato di questo momento, che per me non è un atto formale in quanto manifesta uno degli aspetti costitutivi della natura della Chiesa che abbraccia i battezzati, ma è aperta a tutti. Così come afferma il concilio Vaticano II: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS 1). La Chiesa è pertanto amica di ogni uomo e cerca la collaborazione con tutti per il bene dell’intera comunità umana.
La Chiesa, di certo, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, ma vi sono alcuni ambiti del bene comune nei quali comunità politica e comunità religiosa in certa misura si compenetrano. Questa coincidenza si verifica, sia perché le persone che compongono le due comunità sono le stesse, sia perché vi sono materie che coinvolgono insieme la missione della Chiesa, chiamata ad annunciare Gesù Cristo, e l’organizzazione laica dello Stato. Cattolici e laici sono infatti a pari titolo cittadini. Ciò spiega perché la comunità ecclesiale e la comunità politica, gelose ciascuna della propria autonomia e dovendo entrambe servire al bene comune, non possono non incontrarsi e interagire in spirito di leale collaborazione. Chiesa e Stato, afferma ancora il concilio, svolgono il loro servizio a vantaggio di tutti, in maniera tanto più efficace quanto meglio coltivano una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo.
I compiti a cui dobbiamo far fronte sono grandi, ulteriormente gravati dalle difficoltà causate dall’attuale situazione di emergenza sanitaria. Vogliamo aiutarci ad affrontarle e superarle con il comune desiderio di favorire condizioni di vita serene e oneste per tutti e di venire in aiuto a quanti si trovano in condizioni di bisogno. So di essere entrato in una terra abitata da gente buona e fecondata dal sudore di lavoratori onesti che hanno permesso lo sviluppo del territorio, senza riuscire tuttavia in molte zone a frenare l’emigrazione alla ricerca di un lavoro.
A voi donne e uomini impegnati in politica dico di non scoraggiarvi perché la coerenza paga sempre. Non lasciatevi cadere le braccia quando non vedete apprezzato il vostro impegno. La santità in vista di un avvenire migliore per tutti e non il facile consenso deve essere il fine del vostro impegno.
La celebrazione che ora ci prepariamo a vivere mentre invoca sulla mia persona la grazia necessaria per lo svolgimento del ministero episcopale in questa terra bella e ricca di tanti doni, estenda anche a voi la benedizione del Signore perché possiate assolvere sempre meglio le impegnative responsabilità che vi sono state affidate.
Buon cammino da percorrere insieme. Con voi il Signore benedica tutti e ciascuno delle nostre città e paesi.

 

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale dei Marsi in Avezzano
alla santa Messa per l'inizio del ministero pastorale nella diocesi dei Marsi

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa dei Marsi, stiamo vivendo il nostro primo incontro e questo, non vi nascondo, mi riempie il cuore di gioia perché finalmente posso vedere la mia gente, contemplo quella porzione del popolo di Dio che mi è stata affidata. In tanti mi avete scritto, vi siete fatti sentire con una telefonata, un messaggio, una mail. Vi ringrazio di vero cuore. Sono appena entrato in questa terra, lontana dalla mia terra, è già mi sento a casa.
Saluto con affetto i presbiteri, i religiosi, i diaconi, le religiose, i seminaristi e i fedeli laici nonché quanti ci seguono da casa attraverso la televisione o la rete. Agli ammalati chiedo di unire la preghiera al sacrificio delle proprie sofferenze.
Saluto con sincera gratitudine i numerosi presbiteri e i fedeli giunti dalla mia cara diocesi di Andria che con mons. Luigi Renna, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano ma originario della diocesi di Andria e il Sindaco della città di Andria, l’avv. Giovanna Bruno, sono qui venuti per accompagnarmi e condividere questo momento di festa.
Quanto amore ho sperimentato nella mia diocesi e quanto mi sono sentito circondato di affetto più che mai in questi giorni. In tanti incontrandomi mi avete detto: «Sono felice per te. Ho seguito la celebrazione di ordinazione episcopale e ho pianto per la gioia. Ti accompagnerò con la preghiera e ti porterò nel cuore!». Grazie.
Al vescovo Pietro che ha presieduto come pastore e servo questo popolo di Dio, va il mio grazie e quello della comunità ecclesiale che ha servito per quattordici anni. Le siamo grati, eccellenza, per tutto il bene che ha fatto e per il tanto lavoro profuso. Si senta abbracciato con lo stesso calore che lei ha dato a tutti.
Ringrazio il cardinal Petrocchi e gli arcivescovi e i vescovi che sono in Abruzzo e Molise per avermi accolto con entusiasmo nella grande famiglia della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. Sono molto contento di camminare con voi in spirito di profonda e sincera comunione.
Carissimi sindaci e autorità civili e militari che mi avete salutato benevolmente e che ora siete presenti in questa assemblea, la vostra presenza dice la stima che avete per la Chiesa e vi ringrazio per il servizio a questo popolo che ci fa sentire in comunione di intenti.
Nel primo messaggio alla diocesi ho già aperto il mio animo descrivendovi i sentimenti che abitano il mio cuore sin da quando il nunzio mi ha comunicato la scelta del Santo Padre di nominarmi vescovo dei Marsi.
In primo luogo lo stupore per il coraggio che ancora una volta Dio ha avuto rivolgendo il suo sguardo misericordioso sulla mia povera persona. Non si diventa vescovi perché migliori degli altri bensì perché Dio è buono. A lui la mia lode e il mio ringraziamento.
Ogni chiamata è una manifestazione dell’amore di Dio che non conosce limiti e non esclude nessuno. Ecco perché ho vissuto il primo momento di questo pomeriggio presso il carcere di Avezzano e ho detto ai detenuti che «Gesù vi ama e vuole per voi un futuro migliore. Per Gesù cambiare è possibile. Non credete a chi vi sussurra: “Non puoi farcela”. Tutti abbiamo un orizzonte. Aprite le porte del cuore e guardatelo». E accanto allo stupore provo un senso di timore perché sono consapevole che il ministero che mi viene affidato è carico di responsabilità pastorali, spirituali e umane. Nella Chiesa i ministeri che vengono affidati non sono medaglie da esibire o gradini sui quali salire per guardare gli altri all’alto verso il basso, bensì servizi da vivere con grande senso di responsabilità. Mi rincuora la certezza che quando Dio chiama qualcuno al servizio apostolico lo rende idoneo, offrendogli la sua grazia e mi incoraggia il vostro entusiasmo nonché la vostra fiducia che ho avvertiti sin dal primo momento.
Vi chiedo di volermi bene così come sono, di essere clementi e misericordiosi dinanzi alle mie fragilità. Invito tutti, presbiteri, diaconi e laici a intessere subito tra di noi relazioni segnate dalla carità nella verità, avendo cura sin dall’inizio di rimanere lontani da uno stile relazionale offuscato dalla finzione e dall’adulazione. Costruiamo invece rapporti leali, rispettosi e franchi in un clima di amore sincero.
Ho avuto già modo di dirvi che non ho oro, né argento da distribuirvi, né intelligenza tanta per farvi sapienti. Io vengo qui per unirmi a voi e divenire buono insieme a voi.
La parola di Dio di questa domenica sottolinea che siamo stati creati da Dio con un grande desiderio di amare ed essere amati.
«Non è bene che l’uomo sia solo». È questa l’affermazione rivelatrice della verità profonda dell’essere umano, creato per uscire da sé stesso, per incontrare l’altro. L’essere umano è chiamato a entrare in relazione con le altre creature in una relazione di amore, di aiuto e di rispetto. La pandemia ci ha ulteriormente aiutati a prendere coscienza che la grande paura che ogni uomo si porta dentro è la paura della solitudine, la paura cioè di non avere accanto a sé qualcuno che lo ami e qualcuno da amare.
E l’essere il custode del giardino, con tutte le sue ricchezze e i suoi splendori, non gli basta. Nemmeno l’impegno di dare il nome agli animali, espressione dell’altissima dignità a cui Dio lo chiama, gli basta. Non lo appagano le cose materiali, né gli impegni, né l’affermazione personale. L’essere umano ha bisogno di altro. Ha bisogno di perdersi nell’amore. Solo una vita persa per amore di Cristo e dei fratelli, è una vita trovata. È questo il motto episcopale da me scelto. La vita si realizza donandola e si sviluppa effondendola.
E oggi il Signore mi affida questa Chiesa come sposa. Proprio la metafora vescovo-sposa ci aiuta a comprendere molto bene la natura della relazione tra il vescovo e la Chiesa locale a lui affidata. In particolare il vescovo, ricevendo l’anello durante l’ordinazione episcopale, si impegna a custodire la Chiesa, sposa di Cristo, nell’integrità della fede e nella purezza della vita, e i fedeli, baciando tale simbolo, salutano la Chiesa che è sposa e madre, impegnandosi ad amarla nel servizio e nella fedeltà.
Molti si sono chiesti: «Quale programma avrà il nuovo vescovo per la Chiesa a lui affidata?». In realtà non sono qui a dare un programma perché il programma si fa insieme, dal basso e con la gente.
Il cammino sinodale voluto, da papa Francesco, ci farà tanto bene. Pregare insieme, pensare insieme, discernere insieme e decidere insieme è una grazia unica, di cui oggi più che in altri momenti della storia, la Chiesa Italiana ha bisogno.
Da parte mia proverò a incarnare lo stile episcopale indicato dal concilio Vaticano II e attualizzato nell’insegnamento e nella testimonianza di papa Francesco che più volte ha sottolineato la necessità che i vescovi siano oggi uomini vicini a Dio e che con disponibilità reale siano capaci di essere vicini alla gente, soprattutto agli ultimi, e con amore di padri stiano accanto ai presbiteri.
La preghiera è il primo impegno pastorale di un vescovo per portare a Gesù le persone e le situazioni.
La prossimità con Dio porta i pastori a essere vicini alla gente e ai propri sacerdoti. Conoscere i propri sacerdoti costituisce il nucleo essenziale e irrinunciabile delle ragioni per cui un vescovo possa dirsi padre e un sacerdote possa sentirsi figlio.
In questi anni di servizio in diocesi come vicario generale ho ben appreso che la relazione tra il vescovo e i suoi preti è a beneficio di tutti e ha delle ricadute immediate nella qualità della vita della Chiesa diocesana e so bene quanto i sacerdoti abbiano bisogno di un pastore che li ami, li segua, li incoraggi perché siano stimolati amorevolmente a una vita donata.
Cari sacerdoti, non risparmiatevi e non abbiate mai paura di donarvi totalmente a Cristo e ai fratelli.
Oggi più che mai non ci è consentito essere sacerdoti mediocri o superficiali. La testimonianza di un sacerdozio vissuto bene, nobilita la Chiesa, suscita ammirazione nei fedeli ed è la migliore promozione vocazionale.
La paternità episcopale non è però misurata solo dalla generosità nel dare ai preti qualche pacca sulle spalle, bensì anche dalla libertà di compiere, quando è necessario a viso aperto, l’opera di misericordia della correzione fraterna.
Carissimi fedeli laici presenti nelle diverse aggregazioni laicali, confraternite e movimenti, so bene che siete una risorsa importante per la vita di questa diocesi e dei paesi o città in cui vivete. Ho molta fiducia in ciascuno di voi e confido nella vostra passione per il vangelo e nella disponibilità a seguire con gioia Gesù Cristo. Tutti insieme, presbiteri e laici, amiamo questa Chiesa e insieme prodighiamoci per farla crescere affinché sia sempre più santa.
Il mio ultimo pensiero va ai giovani, ai quali lei mons. Santoro ha dedicato tante energie. Una Chiesa che non parla ai giovani rischia di non parlare a nessuno. Cari giovani, la Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Nel Sinodo dei giovani, un ragazzo delle isole Samoa ha detto che la Chiesa è una canoa, in cui gli anziani aiutano a mantenere la rotta interpretando la posizione delle stelle, e i giovani remano con forza immaginando ciò che li attende più in là.
Saliamo allora tutti sulla stessa canoa e insieme sotto l’impulso sempre nuovo dello Spirito Santo iniziamo il nostro viaggio. La Madonna di Pietraquaria ci preservi dalle onde della superbia e dagli scogli delle tribolazioni.
Buon cammino a tutti!

 

Propter Christum vitam perdere
Perdere la vita per amore di Cristo

Le parole scelte per il motto episcopale si rifanno al Vangelo di Marco (Mc 8,34-35) laddove l’evangelista narra che Gesù, «convocata la folla insieme ai suoi discepoli», descrive le condizioni necessarie per andare dietro a lui: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso». Chi vuole essere discepolo di Gesù non può pensare solo a sé, fare del suo io il padrone di tutta la vita ritenendo così di dare pienezza alla propria esistenza. In realtà «chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà». La vita si realizza donandola e si sviluppa effondendola. Chi invece se la tiene stretta, la soffoca. Gesù con la sua esistenza ci ha mostrato che la vera vita si trova nel dono di se stessi. Chi la vuole tenere stretta per sé solo, perde la possibilità di un’autentica vita che rende felici. Nelle parole scelte per il motto episcopale ritroviamo così sintetizzato il programma di vita di Cristo e di ogni suo discepolo.

 

Commento araldico

Secondo la tradizione araldica della Chiesa cattolica, lo stemma di un Vescovo è tradizionalmente composto da:

  • uno scudo, che può avere varie forme, sempre riconducibili a fattezze di scudo araldico, con simbolismi tratti da idealità personali del Vescovo oppure da riferimenti al suo ambiente di vita o ad altre particolarità;
  • una croce astile, in oro, posta verticalmente dietro lo scudo;
  • un cappello prelatizio di colore verde con cordoni a dodici fiocchi pendenti;
  • un cartiglio inferiore recante il motto episcopale.

In questo caso è stato adottato uno scudo di foggia bucranica, frequentemente usato nell’araldica ecclesiastica, mentre la croce astile d’oro è trifogliata con cinque gemme rosse a simboleggiare le cinque piaghe di Cristo.
Il capo, parte di privilegio dello scudo araldico, è in rosso, il colore del sangue che Gesù Cristo versò per la nostra redenzione e che intrise la corona di spine impostagli sul capo. Una di queste spine è custodita, sin dal 1308, nella chiesa cattedrale di Andria, diocesi di origine del Vescovo Massaro.
Il rosso, colore della carità, è anche richiamo al sangue di santa Sabina, vergine e martire, patrona della Chiesa dei Marsi affidata alle cure pastorali del nuovo Vescovo.
Sul capo campeggia un sole in oro, caricato delle lettere IHS, Iesus hominum salvator, Gesù salvatore dell’umanità, per amore del quale, secondo quanto affermato nel motto episcopale, il discepolo deve essere pronto a perdere la vita.
La stella è simbolo della Vergine Maria invocata come «stella mattutina» nelle litanie lauretane e venerata con il titolo di Madonna di Pietraquaria nella città di Avezzano e di Madonna dei Miracoli in quella di Andria. Alla protezione materna della Madre celeste il nuovo Vescovo affida il suo nuovo ministero.
La campitura su cui è posta la stella è in azzurro, colore simbolo della incorruttibilità del cielo.
Infine, ecco due prodotti della terra e del lavoro dell’uomo: le spighe di grano e il ramo d’olivo. Le spighe di grano richiamano l’eucaristia, memoriale della morte e risurrezione di Cristo, nonché il dono della vita, condizione primaria richiesta a ogni seguace di Gesù. L’ulivo costituisce un chiaro riferimento alla terra pugliese, terra di origine di mons. Massaro, ricca di queste piante durevoli fino all’estremo e prodighe di olio che ne è il loro frutto. L’olivo simboleggia notoriamente la pace, mai così invocata in questi tempi recenti anche da parte di papa Francesco, affinché il mondo abbandoni le vie delle guerre, delle discordie che dividono e originano il male.
I due simboli delle spighe di grano e del ramo di olivo campeggiano sull’argento, il colore che identifica la trasparenza nonché i principi di verità e di giustizia, doti su cui poggia lo zelo pastorale del Vescovo.

Francesco Vescovo,
Servo dei servi di Dio,
al diletto figlio Giovanni Massaro
del clero della diocesi di Andria
e ivi Vicario Generale,
eletto Vescovo dei Marsi,
salute e Apostolica Benedizione.

Ogni Vescovo, come un pastore e un padre buono deve sempre favorire la comunione tra i fedeli laici e la comunione con Cristo, come i primi cristiani che avevano «un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32). A Noi, d’altra parte, sta molto a cuore il comandamento del Signore «che siano una cosa sola» (Gv 17,11) da portare a compimento nella Chiesa, per cui cerchiamo uomini idonei che si affidino con molto impegno a questa opera. Ora dunque, dopo la rinuncia del suo ultimo Vescovo, il Venerabile Fratello Pietro Santoro, inviamo Te, Nostro eletto, alla comunità diocesana dei Marsi, che attende una nuova Guida della vita spirituale. Crediamo che Tu, diletto Figlio, manifesti prudenza, retta dottrina, perizia nell’agire, e soprattutto carità pastorale, e perciò a Noi sembri adatto ad assumere questo ministero. Quindi, esaminato il parere della Congregazione per i Vescovi, con la pienezza della Nostra Autorità Apostolica, ti nominiamo Vescovo dei Marsi, con tutti i diritti e i doveri propri del tuo incarico, secondo le norme del Codice di Diritto Canonico. Potrai ricevere l’ordinazione episcopale in qualsiasi luogo fuori della città di Roma da un Vescovo cattolico, nell’osservanza delle norme liturgiche. Tuttavia, come stabiliscono i sacri canoni, prima dovrai pronunciare pubblicamente la professione di fede secondo consuetudine e prestare il giuramento di fedeltà verso Noi e i Nostri Successori in questa Sede. Infine ti invitiamo ad affidare tutto il tuo ministero alla protezione della Beata Vergine Maria e del suo Sposo San Giuseppe, Custode del Redentore. Inoltre, diletto Figlio, adoperati nel tuo ministero impegnandoti con zelo a condurre gli uomini ad una fede matura, alla comunione con Cristo, così che il cuore dei fedeli della tua diocesi sia uno solo ed una sola l’anima, che trae vita e vigore dallo stesso Dio.

Dato a Roma, presso il Laterano, il giorno 23 del mese di luglio, anno del Signore 2021, nono del Nostro Pontificato.

FRANCESCO

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