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Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato
trasmessa in diretta nazionale su RaiUno

Il mese di settembre è il tempo che la Chiesa dedica al tema della custodia del creato. La Giornata mondiale di preghiera che ricorre il 1° settembre, segna infatti l'inizio del tempo del creato, che si conclude il 4 ottobre, festa liturgica di san Francesco d'Assisi.
Come Chiesa dei Marsi siamo onorati e contenti di ospitare quest'anno qui in questa nostra terra, su scala nazionale, la XIX giornata per la custodia del creato. La Marsica si caratterizza per la bellezza e la varietà del suo territorio con le sue zone di pianura, collina e alta montagna. Gran parte del territorio diocesano è sotto la tutela del Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise e del Parco regionale Sirente-Velino. È una terra bella, accogliente, caratterizzata dalla bontà della gente e dalla bellezza del creato. Tutto ciò che Dio ha creato è bello. Una bellezza però che va tutelata e preservata.
Nella lettera enciclica Laudato si', papa Francesco coraggiosamente denuncia il saccheggio che si opera contro la natura e contesta quello che è a monte di questo atteggiamento, cioè lo sfrenato e demoniaco desiderio di volere a tutti i costi dominare il creato. Sono sotto gli occhi di noi tutti le problematiche legate alla tutela delle risorse idriche o ai cambiamenti climatici, che si fanno sentire anche nel nostro territorio, determinando la sensibile variazione delle caratteristiche climatiche degli habitat – anche quelli delle porzioni sommitali delle montagne – con conseguenze negative per le specie animali e vegetali che vi abitano e per la popolazione segnata, nell'accoglienza turistica, dall'incertezza climatica.
Nella pagina evangelica appena ascoltata, Gesù pone ai suoi discepoli l'interrogativo: «La gente chi dice che io sia?». La risposta della gente non afferra la novità di Gesù e lo allinea con gli altri profeti. La risposta di Pietro è invece precisa e riconosce Gesù come il Cristo, il Messia. Ma c'è modo e modo di pensare la messianicità di Gesù. Dire che Gesù è il Messia è esatto. Tuttavia c'è sempre il pericolo di pensare la sua messianicità secondo il pensiero degli uomini. Gesù avverte pertanto il bisogno di precisare che sì è il Cristo, ma deve molto soffrire.
Di fronte a questo annuncio, Pietro cerca di distogliere Gesù dalla via della croce, dell'amore fino al dono di sé, per sostituirla con una via, elaborata dal pensiero degli uomini, che è la via dell'egoismo e dell'arroganza.
«Perché tanto male nel mondo?» , si chiede papa Francesco nel messaggio scritto per l'odierna giornata, dal titolo Spera e agisci con il creato. «Perché tanta ingiustizia, tante guerre fratricide che fanno morire i bambini, distruggono le città, inquinano l'ambiente vitale dell'uomo, la madre terra, violentata e devastata?». La risposta è in quella sottile ma accattivante tentazione di satana che distoglie l'uomo dall'amore e lo induce a sentirsi padrone assoluto.
«La creazione intera geme – scrive ancora papa Francesco – perché l'uomo ha ridotto la natura a oggetto da manipolare. Solo l'obbedienza allo Spirito d'amore può cambiare radicalmente l'atteggiamento dell'uomo da predatore a coltivatore del giardino».
Ed è lo Spirito di amore ad animare il servo del Signore di cui ci ha parlato il profeta Isaia nella prima lettura. Il servo del Signore è un personaggio individuale ed è, nel contempo, una personificazione del popolo, è un profeta del passato e insieme una profezia del Messia futuro. Ciò che caratterizza la sua fisionomia è l'obbedienza allo Spirito di Dio e il coraggio di fronte alle avversità.
Obbedienza allo Spirito di Dio e coraggio sono gli atteggiamenti necessari per invertire la rotta e crescere nella corresponsabilità per un'ecologia umana, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che viviamo.
«Sono già trascorsi otto anni dalla pubblicazione della Laudato si', ma con il passare del tempo le reazioni e le misure adottate risultano sempre più insufficienti, mentre allo stesso tempo il mondo che ci accoglie sta cadendo a pezzi e probabilmente si sta avvicinando a un punto di rottura». È il grido amaro che papa Francesco ha lanciato nella esortazione apostolica Laudate Deum.
Sperare e agire con il creato significa non scoraggiarsi davanti alla barbarie umana e affrettarsi, prima che sia troppo tardi, a unire le forze, camminando insieme per fare ciascuno la propria parte a difesa del creato.
Unire le forze è anche ciò che può consentire alle aree interne, che costituiscono la parte consistente e fragile di tutto il Paese, di custodire forse la sua risorsa più grande. In un tempo in cui la distanza relazionale crea vere e proprie disconnessioni umane e lo spazio, quello verde, soprattutto, va rarefacendosi; queste vaste zone di territorio, dotate di relazioni vere, di paesaggio e di un ricco patrimonio religioso, storico e artistico, si rivelano di una ricchezza sorprendente anche allo sguardo più distratto. Solo rafforzando un senso di comunità e di appartenenza è possibile fare in modo che queste aree siano valorizzate e non depauperate delle loro preziose risorse.


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Foto di Marcello De Luca

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale di San Bartolomeo in Avezzano
per la santa Messa di chiusura della fase diocesana del sinodo

8 maggio 2022

In questa celebrazione vogliamo ringraziare il Signore per il cammino percorso in questi mesi sotto la guida dello Spirito Santo. Il tempo della pandemia ci sembrava il meno adatto per il sinodo, eppure il cammino sinodale ha dato a molte parrocchie la possibilità di ritrovarsi. La risposta emotiva al sinodo è stata spesso di perplessità e dubbio, mentre durante il cammino è emersa sempre di più la gioia. La gioia di incontrarsi tra presbiteri, religiosi, religiose, e poi con i laici, con i sindaci, con i bambini e i ragazzi, con la comunità evangelica, con i poveri, con gli studenti, con i docenti. L'inizio del cammino sinodale in diocesi è coinciso con l'inizio del mio ministero episcopale e la necessità di una reciproca conoscenza poteva ritardare o rallentare il cammino.
In realtà ho subito trovato in tutti voi una grande disponibilità, una grande voglia di mettervi in cammino. Io da subito mi sono fidato di voi, dei vostri suggerimenti, e voi avete riposto in me la vostra fiducia e abbiamo così intrapreso, sotto l'azione dello Spirito Santo, un cammino che non termina oggi perché destinato a proseguire nel tempo, facendo però tesoro di quanto lo Spirito Santo ha suggerito nei diversi appuntamenti sinodali che ci sono stati nelle parrocchie, nelle foranie, negli uffici pastorali e in altri ambiti anche al di fuori di quelli a noi usuali e familiari. La programmazione pastorale del prossimo anno partirà di certo dalla sintesi diocesana di cui, prima di questa celebrazione, abbiamo ascoltato alcuni stralci.
E con il desiderio vivo di continuare a camminare insieme vogliamo fare tesoro di quanto la parola di Dio oggi ci suggerisce. L’accento della quarta domenica di Pasqua cade sempre su Gesù come pastore: il Gesù, che ha guidato i suoi discepoli durante la sua vita itinerante e di annuncio del regno di Dio, ha formato una comunità, ha fatto di alcune persone eterogenee, in buona parte modeste, a volte litigiose, a volte gelose, una comunità. Di queste pecore riottose, malate, alcune deboli, altre forti e prepotenti, ha fatto il piccolo gregge capace di camminare insieme e di essere segno del regno di Dio nella storia e, al di là di tutti i miracoli narrati dai Vangeli, questo è il miracolo veramente grande, la sconcertante impresa che Gesù ha portato a termine.
Gesù si presenta come il vero pastore del popolo di Dio. È lui che ha fatto di uomini e donne litigiosi una vera comunità. «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute» (Gv 10,27-28). In queste parole noi ritroviamo le azioni di Gesù buon pastore, ma anche le azioni di coloro che vogliono far parte della comunità di Gesù. L'opera di Gesù si esplica in quattro azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce. Il buon pastore è colui che è attento alle sue pecore, rivolge le sue parole e se ne prende cura. Gesù è colui che ci ama, così come siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti. La qualità che caratterizza il pastore buono é quella di dare la vita per le pecore. Gesù ci offre la possibilità di vivere una vita piena, senza fine. Il pastore conosce le sue pecore, e non si tratta di una conoscenza astratta. «Conoscere» nella Bibbia indica relazione, reciprocità. Il pastore è colui che si lega alle sue pecore e le aiuta ad attraversare i sentieri più impervi. Gesù è colui che ci aiuta a percorrere le strade rischiose che si presentano nel cammino della vita. Per essere popolo di Dio, per essere una comunità che cammina insieme, dobbiamo lasciarci tutti guidare da Gesù. È la prima indicazione che emerge dalla parola di Dio di oggi. Non assolutizziamo gli incarichi che abbiamo: l'essere vescovo, parroco, superiore o priore di una confraternita, presidente di un'associazione o anche semplicemente maestro di coro o catechista all'interno di una parrocchia, non è un prestigio di cui vantarsi, o una medaglia da esibire, ma semplicemente un servizio da rendere con umiltà.
Nessuno deve sentirsi superiore agli altri, siamo tutti chiamati a lasciarci condurre da Cristo. È lui il nostro pastore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato che i giudei, quando vedono che quasi tutta la città si radunò intorno a Paolo per ascoltare la parola del Signore, «furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo» (At 13,45). Guardiamoci dall’arrivismo, dalla gelosia, dalla sete di protagonismo, dal voler imporre a tutti i costi le proprie convinzioni. Mali questi che riguardano tutti, preti e laici, e che costituiscono i principali ostacoli di uno stile e di un agire autenticamente sinodale. Ai gesti che descrivono il modo in cui Gesù si relaziona con noi, fanno riscontro i verbi che riguardano le pecore, cioè noi. «Ascoltano la mia voce e mi seguono» (Gv 10,27). Ascoltare e seguire Gesù sono azioni fondamentali per camminare insieme. Ascoltare è apertura esistenziale all'altro, è attenzione alla sua persona prima ancora che alle sue parole. In una civiltà tutta dominata dall’avere e dal fare può sembrare che l'ascolto, atteggiamento di per sé passivo, sia a detrimento della propria personalità. Si pensa che l'azione sia ciò che conta davvero, in realtà una cisterna vuota non dà acqua, un uomo che non ascolta e che non è disposto a ricevere, non è in grado di dare. Se si vuole essere di più occorre l’umile atteggiamento di chi sa di aver bisogno di stare molto in ascolto. «L'ascolto – si legge della sintesi diocesana – prima che una tecnica metodologica, utile alla conduzione degli incontri, è stato riscoperto come forma di prossimità esistenziale. L’ascolto genera speranze, elimina il giudizio, lenisce le ferite e rende sostenibili le sollecitudini».
In una società che va sempre di corsa noi non sappiamo più ascoltare. In una società che ci chiede di imporci sempre sugli altri spesso noi non vogliamo ascoltare. Se non ci si ascolta, vescovo e preti, preti e laici, non è possibile camminare insieme. È la seconda indicazione che la parola di Dio ci offre. Accanto all'ascolto la sequela. La sequela richiede fiducia, solo se mi fido dell'altro, non solo ascolto ciò che mi dice, ma addirittura lo seguo, gli do credito, metto in pratica ciò che mi dice in quanto riconosco nella sua voce, la voce di chi mi ama. Riconoscere la voce è l'esperienza con cui ogni figlio, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia, il cuore verso di lei, ed è già felice prima ancora di arrivare a comprendere il significato delle parole. Basta una voce, un suono, un odore per farci capire che siamo tra le braccia giuste, quelle dalle quali non vorremmo essere mai lasciati. La sequela di Cristo, prima ancora che essere un'esperienza razionale fondata su regole, precetti, è un'esperienza d'amore, di appartenenza, di bellezza del sentirsi a casa, protetti e amati. Solo alla luce di questa bellezza possiamo camminare insieme, con il vivo desiderio di trasmettere a tutti la gioia di seguire Gesù.
«Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede – scrive papa Francesco nel messaggio per la odierna giornata mondiale di preghiera per le vocazioni – è un soggetto attivo all'interno della Chiesa. Bisogna guardarsi dalla mentalità che separa preti e laici, considerando protagonisti i primi ed esecutori i secondi e portare avanti la visione cristiana come unico popolo di Dio, laici e pastori insieme, tutta la Chiesa è chiamata a camminare insieme seguendo e annunciando Cristo». Quando la nostra testimonianza di preti e laici è coerente, lontana da ogni forma di arrivismo, protagonismo e gelosia, apriamo ai nostri giovani una strada di vita bellissima. I giovani ci guardano e le nostre ipocrisie fanno loro tanto male. Trasmettiamo loro la bellezza di essere amati da Dio, di volerci bene, di camminare insieme: solo così potranno sentire nel cuore il desiderio di innamorarsi di Gesù e di amare la Chiesa.


 

Messaggio di S.E. Mons. Giovanni Massaro
per la festa della Madonna di Pietraquaria

27 aprile 2022

La festa della Madonna di Pietraquaria è occasione propizia per portare a Maria quanto stiamo vivendo e invocare dalla Madonna il dono della pace. Stiamo assistendo da due mesi ad un massacro insensato, avvertiamo un senso di paura e di impotenza. Abbiamo bisogno di sentirci dire, anche noi, le parole rivolte dall’angelo a Maria: «Non temere!». La Madonna ci prenda per mano e ci guidi lungo i sentieri tortuosi della vita.
Più volte nel corso della storia gli avezzanesi si sono rivolti alla Madonna di Pietraquaria per chiedere grazie, sempre elargite dalla Vergine. Siamo certi che anche questa volta la Madonna ascolterà il nostro desiderio di pace. E alla Madonna di Pietraquaria vogliamo affidare la nostra Chiesa locale perché ci aiuti a crescere nella comunione e nella fede. Vogliamo affidare la città di Avezzano con le sue gioie, ma anche le sue fatiche e i suoi problemi. Ricordiamoci nella preghiera di coloro che non hanno un lavoro o temono di perderlo da un momento all’altro, dei giovani impossibilitati a programmare il proprio futuro, e affidiamo alla Vergine Maria i nostri fratelli e le nostre sorelle ammalati. Dio per cambiare la storia ha bussato al cuore di Maria e anche noi vogliamo bussare al suo cuore. La Vergine Maria ci doni un cuore come il suo, affinché Dio possa fidarsi anche di noi per poter costruire un mondo migliore, un mondo di pace.

+ Giovanni Massaro
Vescovo dei Marsi


 

Giovanni Massaro
Vescovo di Avezzano
Alla comunità musulmana della Marsica

Carissimi fratelli musulmani,
nel mio primo anno come vescovo e pastore della Chiesa dei Marsi, desidero rivolgervi i miei più cari auguri per la festa dell’Eid al-Fitr. Finalmente quest'anno, dopo le restrizioni imposte dalla pandemia, cristiani e musulmani possiamo celebrare le nostre feste con il ritorno a una certa normalità.
Ma mentre nelle nostre feste ci scambiamo il saluto di pace, lo guerra n atto in Ucraina accresce in noi la coscienza della necessità di sradicare ogni seme di odio e coltivare sempre più il seme della fratellanza universale.
Il ramadan quest'anno si è sovrapposto, in parte, con la nostra quaresima. Periodi in cui, come credenti autentici, abbiamo affidato al digiuno e alla preghiera il mai sopito bisogno di pace, il desiderio di conversione dei cuori e una più solida dedizione a Dio.
Possano la fede in Dio Creatore e la preghiera accompagnarci e rafforzarci ulteriormente nel dialogo tra le nostre comunità. Continuiamo a lavorare insieme nel costruire relazioni pacifiche e fraterne dandone in questo modo testimonianza al Creatore onnipotente, al quale rendiamo culto e ottenendo, come frutto per i nostri paesi, un clima di totale armonia. Siamo qui infatti per adempiere ai «veri insegnamenti delle religioni che invitano a restare ancorati ai valori della pace [...] e a ristabilire la saggezza, la giustizia e la carità e a risvegliare il senso della religiosità tra i giovani» (papa Francesco e grande imam di Al-Azhar, Documento sulla fratellanza umana, 2019).
Vi benedico e vi saluto con affetto fraterno.

Avezzano, 1° maggio 2022

+ Giovanni Massaro
Vescovo di Avezzano

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale di San Bartolomeo in Avezzano
per la santa Messa crismale

13 aprile 2022

Puntare lo sguardo su Gesù

A Nazaret, nella sinagoga, Gesù esce allo scoperto e dichiara apertamente di essere lui l’atteso delle genti, il Salvatore del mondo. E l’evangelista Luca aggiunge che «nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui».
Carissimi miei fratelli, voglio sedermi accanto a voi, immergermi nel flusso del sacerdozio del popolo di Dio e in forza del mio sacerdozio ministeriale e del mio servizio episcopale aiutarvi a puntare gli occhi su di lui. Puntare lo sguardo su Cristo significa in primo luogo trovare la radice della comunione tra noi. Il cammino sinodale ci sta consentendo di ritrovarci all’interno delle nostre parrocchie, foranie, aggregazioni laicali, uffici pastorali e poi anche con persone che non sono solite frequentare i nostri ambienti, per confrontarci, dialogare, discutere. Quanta voglia di camminare insieme ho piacevolmente riscontrato. E poi anche tra presbiteri abbiamo avviato gli incontri di formazione permanente del clero proprio sul tema delle relazioni, ci siamo incontrati mensilmente per il ritiro spirituale, mi sono messo in ascolto di voi presbiteri, religiosi e diaconi all’interno delle diverse foranie. Momenti molto interessanti, ben partecipati e da voi molto apprezzati.
Ma non dobbiamo dimenticare che la comunione non è solo il risultato dei nostri sforzi, non è semplicemente la logica conseguenza dei nostri incontri, bensì è dono di Dio. Se non teniamo gli occhi fissi su di lui non riusciamo a costruire comunione. Tradotto in termini concreti, tutto questo significa riscoprire il valore dell’intimità con Gesù Cristo.
Carissimi confratelli presbiteri, sono rimasto edificato dal vostro esempio e dalla vostra bontà. Per crescere però ulteriormente nella comunione tra noi dobbiamo riscoprire sempre più il valore del silenzio e il gusto della preghiera prolungata. Manteniamo ferma la fedeltà alla recita del breviario e lasciamoci rinnovare interiormente attraverso la preziosa esperienza annuale degli esercizi spirituali, magari tralasciata in questi anni di pandemia. La preghiera è il nostro impegno primario al quale non ci è consentito abdicare perché ci consente di custodire il nostro sacerdozio.
Noi tutti, carissimi sacerdoti, sappiamo bene che lo spazio e il tempo dedicato alla preghiera non sono mai sottratti all’azione pastorale. Piuttosto la vivificano e la alimentano quotidianamente. Ricordiamo pure di avere pubblicamente dichiarato l’impegno di implorare la divina misericordia per il popolo a noi affidato, dedicandoci assiduamente alla preghiera. Tra un po’ rinnoveremo questo impegno insieme con tutti gli altri assunti nella nostra ordinazione. È l’intimità con il Signore che ci permette di ritrovare il gusto della comunione. È come presbiterio, con a capo il vescovo, che annunciamo la Parola, che celebriamo la fede, che viviamo la carità; mai come singoli.
Carissimi presbiteri, religiosi e diaconi, se non viviamo in profonda comunione reciproca noi impediamo ai nostri fratelli di tenere fissi gli occhi su Gesù. Li faremo fissare sulle nostre stupide beghe, sui nostri infantili capricci, sulle nostre divisioni, sulle nostre rivalità ma non su di lui. Se c’è un autentico desiderio di convertirci alla comunione diventano allora utili e necessari spazi per correggerci insieme, per pregare insieme, per soffrire insieme e per servire insieme, con il coraggio di posporre tante cose secondarie, fosse anche la gratificazione che ci viene dalle nostre iniziative pur di condividere con gli altri confratelli, gioie, preoccupazioni, speranze, magari anche attorno ad una buona mensa.
Carissimi confratelli, impariamo ad accettarci e ad amarci per quelli che siamo, accogliamoci reciprocamente tutti a braccia aperte senza porre veti a nessuno, cerchiamoci come fratelli e non come rivali nei momenti felici ma anche e soprattutto nei momenti difficili, sosteniamoci nelle difficoltà.
La stessa cosa la dico a voi, religiosi e religiose, che sperimentate ogni giorno quanto sia faticosa e bella la vita di comunione e come essa vada invocata come bene dall’alto ma vissuta con impegno dal basso.
E anche voi, fedeli laici, siete chiamati a fissare lo sguardo su Cristo per essere uomini e donne di comunione. Una comunione da vivere in primo luogo con il presbiterio. State però alla larga dal clericalismo e sentitevi corresponsabili nell’azione pastorale. Non è più il tempo in cui la carretta venga tirata soltanto dal parroco. La vivacità pastorale delle comunità parrocchiali dipenderà sempre di più, carissimi laici, dalla vostra passione per il vangelo. Non serve lamentarsi che i preti siano pochi e devono occuparsi di più parrocchie o che non siano come li desiderate, è tempo di rimboccarsi le maniche e avvertire forte la responsabilità della evangelizzazione.
A noi presbiteri il compito di considerare voi laici come un dono e non come collaboratori a noi subalterni; come corresponsabili nell’azione pastorale in virtù, carissimi fedeli laici, esclusivamente del vostro battesimo e del vostro amore verso Gesù Cristo, e non affatto per la smania di protagonismo. Puntare gli occhi su Cristo significa ritrovare la fonte della missione. Si tratta di mettere in discussione la nostra mentalità, tante volte rassegnata, priva di coraggio, senza fantasia. Si, è vero: le comunità cristiane sono oggi più povere rispetto al passato, facciamo fatica a ritrovare i giovani e anche a raggiungere gli adulti. Ma non perdiamo il coraggio. Guardiamo a lui, fonte della nostra missione nel mondo e saremo illuminati. Siamo tutti chiamati, come il Messia, a predicare un anno di grazia non con le parole ma con l’esemplarità della vita e con la gioia di servire il Signore e i fratelli.
«E vi chiedo di pregare anche per me, perché diventi ogni giorno sempre di più immagine viva e autentica di Cristo sacerdote, buon pastore, maestro e servo di tutti». Questa intenzione di preghiera, suggerita dalla liturgia prima della benedizione degli oli, raccoglie la pienezza di grazia che si sprigiona dalla santità del popolo di Dio.
Mi dispongo a pronunciarla con serena fiducia, nella consapevolezza che non sono solo a portare il pastorale perché sostenuto dalla grazia di Dio e da tutti voi che siete il popolo di Dio a me affidato.
Il Signore ci custodisca tutti nel suo amore.
Amen.

+ Giovanni Massaro
Vescovo dei Marsi


 

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