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Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
festa della Madonna di Pietraquaria

Un cordiale saluto al Sindaco di Avezzano, alle autorità civili e militari, ai sacerdoti, diaconi e a voi carissimi fedeli della Chiesa di Avezzano e della Marsica tutta.
Oggi la nostra città si raccoglie attorno alla sua Madre e Patrona, la Madonna di Pietraquaria, in una festa che unisce la memoria, la fede e il futuro. Ed è provvidenziale che quest'anno la nostra festa patronale cada proprio nella domenica della Divina Misericordia, istituita da san Giovanni Paolo II per tutta la Chiesa. Due cuori si uniscono oggi: il cuore misericordioso di Cristo risorto e il cuore materno di Maria, che da secoli veglia sul nostro popolo.
La pagina evangelica ci presenta due apparizioni di Cristo risorto ai discepoli. Entrambe avvengono «il primo giorno della settimana», cioè la domenica. La domenica è il giorno della risurrezione del Signore, ma è anche il giorno in cui la comunità dei credenti si riunisce per sperimentare la presenza del Signore in mezzo a noi. Quanto è importante la Celebrazione Eucaristica domenicale. È nella Messa domenicale che facciamo esperienza di Cristo risorto presente in mezzo a noi. Ogni domenica per noi cristiani è Pasqua. Non è pertanto possibile fare a meno della santa Messa. Non è un optional per noi credenti. Pensate, i martiri di Abitene nel primo secolo, posti dinanzi alla scelta di celebrare l'eucaristia andando incontro al martirio o di vedere salva la propria vita rinunciando ad essa, non esitarono a scegliere il martirio, dicendo che senza domenica noi non possiamo vivere. Cadendo questa festa di domenica, sembra che la Madonna voglia richiamarci, in primo luogo, a vivere la domenica come giorno del Signore, dell'incontro con lui.
Ebbene, il primo giorno della settimana i discepoli erano riuniti nel cenacolo segnati dalla paura. Temevano di fare la stessa fine di Gesù, ma soprattutto facevano fatica a credere nella risurrezione. Quanto è difficile lasciare la tomba delle nostre paure. Ma è pur vero che i discepoli fanno la scelta più giusta quale è quella di rimanere uniti. È importante nel dolore restare uniti. In ogni comunità civile, parrocchiale o familiare non mancano le sofferenze, i problemi, le paure. Ma quando si rimane uniti diventa più facile affrontare qualsiasi situazione. Quando invece subentra la divisione, le difficoltà diventano insuperabili.
I discepoli superano però ogni tristezza solo nel momento in cui appare Gesù che non li rimprovera di averlo abbandonato nel momento della passione bensì mostra loro le mani e il fianco che sono i segni della sua passione e della sua misericordia senza limiti. «E i discepoli gioirono a vedere il Signore». È l'incontro con la misericordia di Cristo ad allontanare definitivamente ogni paura e tristezza e a far rifiorire la speranza. Il giubileo che stiamo vivendo è finalizzato, secondo le intenzioni del compianto e tanto amato papa Francesco, a rianimare la speranza. Ma questo è possibile solo a partire dall'incontro con Cristo vivo in mezzo a noi.
Maria è la Madre della misericordia perché è colei che ci mostra il volto tenero e misericordioso di Cristo. A Pietraquaria, su quel colle silenzioso che guarda la piana del Fucino, la Vergine ha scelto di manifestare la sua presenza nei momenti più difficili della nostra storia: dalla carestia alla peste, dalla guerra al terremoto. Ogni volta che la nostra terra ha tremato, il popolo si è rivolto a lei, e lei non ha mai fatto mancare il suo sguardo. Questo sguardo è misericordia concreta: è attenzione, è cura, è protezione.
Maria ci insegna che la misericordia non è un'idea, ma è uno stile di vita, un modo di essere cristiani. Ecco perché oggi, davanti a lei, siamo chiamati non solo a ricevere misericordia, ma anche a diventare testimoni di misericordia nel cuore della nostra città.
In questa festa che unisce il cielo alla terra, permettetemi di rivolgermi con affetto a tutta la nostra amata comunità civile. La Madonna di Pietraquaria non è solo la patrona di una Chiesa, ma è Madre di un popolo, di una città, di una terra.
La sua presenza ci ricorda che ogni cittadino è chiamato a essere costruttore di fraternità e di speranza. Oggi, davanti a lei, sentiamo che ci sono impegni che scaturiscono dalla fede, ma che si traducono in scelte civili:

  • l'impegno per la giustizia sociale, affinché nessuno sia dimenticato, soprattutto i poveri, gli anziani, i giovani senza lavoro;
  • l'impegno per la cura del bene comune, che significa amare la città, rispettare la legalità, difendere il creato che ci è stato affidato;
  • l'impegno per la pace sociale, per superare le divisioni, le polemiche sterili, e riscoprire la bellezza del dialogo e della collaborazione.

Qualche giorno fa, con il segretario della Conferenza episcopale italiana e altri nove vescovi, provenienti da diocesi di tutta l'Italia, ho incontrato il presidente Mattarella per discutere delle aree interne. Noi vescovi abbiamo detto che esse costituiscono una risorsa per il patrimonio che custodiscono dal punto di vista ambientale, artistico e religioso, ma non possiamo nascondere i problemi che le caratterizzano: spopolamento, assenza di servizi, primo fra tutti quello di una efficace assistenza sanitaria, mancanza di lavoro, una viabilità molto carente. È stato sottolineato che a noi pastori le aree interne stanno particolarmente a cuore ma il problema è soprattutto politico, in quanto sembra che le aree interne non interessino a nessuno, perché non costituiscono un rilevante bacino di voti, e la distribuzione delle risorse pubbliche non può avvenire secondo la logica dei numeri, perché inevitabilmente le aree interne verrebbero sempre penalizzate.
Ho avuto modo di raccontare il bel cammino che da qualche anno stiamo facendo in diocesi, favorendo un lavoro sinergico tra comunità civile e comunità ecclesiale, e poi tra gli stessi amministratori della Marsica aiutandoli a superare la logica del tifo da stadio e di un rigido campanilismo. Solo così lavorando insieme e per il bene di tutti è possibile costruire la speranza nonché un futuro migliore per il nostro territorio e per i nostri cittadini. La città di Avezzano è chiamata a favorire un lavoro sinergico tra i comuni della Marsica, ad unire e mai a dividere.
E Maria ci insegna a guardare avanti e a guardare lontano, a non cedere al pessimismo, ma a tenere viva quella speranza che nasce dalla fede e si traduce in azioni concrete per il bene di tutti.
Cari amici, oggi non siamo venuti solo a onorare la Madonna, ma a impegnarci con lei. Che questa festa patronale non sia solo una tradizione che si ripete, ma diventi una chiamata a rinnovare il nostro essere cristiani e cittadini. La città di Avezzano è chiamata a favorire un lavoro sinergico tra i comuni della Marsica, ad unire e mai a dividere.
Affidiamo a Maria il cammino della nostra Chiesa e della nostra città: le famiglie, i bambini, i giovani, gli ammalati, i lavoratori, chi è scoraggiato e chi cerca un senso. Maria di Pietraquaria ci accompagni con la sua dolcezza e ci insegni a vivere di quella misericordia che cambia i cuori e trasforma le città.
Che Avezzano sia una città chiamata a sperare, sempre tenace, che è la caratteristica principale di ogni marsicano e sia la città della misericordia, una città dal cuore aperto, una città in cui nessuno si senta escluso.
È stata portato in processione in questo anno giubilare il quadro della Madonna di Pietraquaria. Come ben sapete, questo quadro è stato portato in processione per la prima volta nel 1779, un anno segnato dalla siccità. I fedeli vollero portarlo in processione per invocare il dono della pioggia. La Madonna ascoltò le preghiere dei suoi figli e in poco tempo il cielo si coprì di nubi e una pioggia abbondante irrigò i campi del Fucino. Chiediamo alla Madonna che faccia piovere sulla nostra città di Avezzano e sull'intera Marsica una pioggia di misericordia che irrighi i cuori di tutti spesso aridi di amore verso Dio e i fratelli.
Amen.

 

Messaggio di S.E. Mons. Giovanni Massaro
in occasione della festa
della Madonna di Pietraquaria

La festa della Madonna di Pietraquaria è la ricorrenza religiosa più sentita non solo ad Avezzano bensì in tutta la Marsica. Alla Madonna del monte Salviano, dove sorge il santuario, sono soliti rivolgersi tutti i marsicani per salutare la Vergine Maria e consegnarle i propri smarrimenti e silenzi. La devozione verso la Madonna si è intensificata quando nel 1978 è divenuta la patrona di Avezzano.
Da allora la sua festa si celebra il 27 aprile, un fatto miracoloso avvenuto nel 1779, anno ricordato per la sua siccità, che vide protagonista l'effige della Vergine Maria. Quel giorno l'immagine sacra venne portata per la prima volta in processione lungo le strade di Avezzano al fine di invocare la grazia della Madonna. Le preghiere furono accolte perché nel giro di poche ore il cielo si riempì di nuvole e un'abbondante pioggia irrigò i campi. Da quel momento la Madonna di Pietraquaria non ha smesso di elargire le sue grazie a favore del popolo marsicano.
È lei che ha cacciato briganti e francesi, arretrato le minacciose acque fucensi, spento le fiamme del colera. Sappiamo di poter trovare sempre rifugio e accoglienza tra le sue braccia amorevoli. È lei la fonte di vita e di luce. È madre della luce perché da lei è nato Cristo, luce del mondo. È Cristo che si presenta come la luce: «Io sono venuto nel mondo come luce perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Gv 12,44).
Maria, la nostra Madre, è come una stella nella notte: guida, illumina, consola. Nella sua dolcezza materna si riflette la luce di Cristo, che attraversa le tenebre del cuore e apre sentieri di speranza. Chi si affida a lei non cammina mai solo, perché nel suo sguardo brilla la luce dell'amore eterno.
Ma non dobbiamo dimenticare che anche noi, discepoli di Gesù, siamo chiamati ad essere luce per gli altri. Egli stesso ce lo chiede: «Voi siete la luce del mondo. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,14-16). Essere cristiani luminosi significa avere mani operose e sguardi che, posandosi sulle persone, fanno emergere tutto ciò che di bello vi è in ogni essere umano, cioè la bellezza dei cuori, delle relazioni, dell'amore. In un mondo che mostra segni di tenebre, lei, nostra Madre, ci insegna e ci aiuta ad essere portatori di luce.
Secondo la tradizione Avezzano ha attirato su di sé l'attenzione della Madonna proprio attraverso la luce. Si racconta infatti che era sorta una discussione tra gli avezzanesi e gli abitanti di Cese su chi meritasse la protezione la sua protezione. Non trovando soluzione si decise di posizionare l'effige della Madonna con lo sguardo girato verso sud affinché fosse lei a scegliere su chi volgere lo sguardo. Gli avezzanesi accesero dei grandi fuochi in tutta la città, attirando così l'attenzione della Madonna che si voltò incuriosita a guardare le mille luci che illuminavano la città e ne divenne pertanto la protettrice.
Essere città di luce, valorizzando il grande patrimonio culturale, artistico, umano e religioso che possiede: ecco la vocazione di Avezzano e di coloro che la abitano. Ed è la capacità di consentire a tutti di vivere una vita dignitosa che rende luminosa una città. Non manchino allora politiche sociali in grado di creare lavoro soprattutto per le nuove generazioni evitando la fuga verso le città metropolitane del nord, non manchino progetti a sostegno dei poveri e cure mediche per tutti. Importante rafforzare un pensiero educativo nonché la coesione educativa e presidi educativi con il coinvolgimento degli adulti per aiutare ragazzi e giovani a crescere ed evitare che trovino facile rifugio nella droga e nell'alcol. Avezzano sia terra di luce favorendo la sinergia tra i paesi della Marsica superando uno sterile campanilismo che ostacola azioni a beneficio di tutti.

 

Discorso di S.E. Mons. Giovanni Massaro
in occasione dell'ottantesimo anniversario
della liberazione d'Italia

Ottanta anni fa il nostro paese tornava a respirare il vento della Libertà dopo il buio della dittatura e dell'occupazione. Furono giorni duri, segnati dal coraggio di tanti uomini e donne, giovani e meno giovani, che non cedettero all'odio ma lottarono per un ideale più grande: la dignità della persona, la giustizia e la pace. Oggi il nostro dovere è quello di non dimenticare. La memoria non è semplice rievocazione del passato ma è linfa vitale per costruire il futuro. In questo senso voglio richiamare le parole dell’amato papa Francesco che ci ha ricordato: «La pace si costruisce partendo dalla verità, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla libertà». Questi sono i pilastri su cui poggia ogni società veramente umana e sono anche i valori per cui tanti hanno dato la vita.
Ecco allora che commemorare significa anche educare. Educare soprattutto le nuove generazioni alla responsabilità civile, alla memoria storica, alla pace come cammino quotidiano. Come vescovo mi sento chiamato a ribadire che la pace è un dono, ma anche un compito. È un cammino da percorrere insieme, dove la diversità non è minaccia ma ricchezza. Dove il dialogo prevale sulla violenza e la speranza è più forte della rassegnazione. Concludo con un pensiero ai caduti, alle vittime innocenti, ai partigiani, ai perseguitati, a tutti coloro, e tanti sono stati abruzzesi, che in quel tempo drammatico hanno testimoniato con la propria vita la fede nell'uomo e nella libertà. A loro va la nostra riconoscenza più profonda che oggi si rinnova nel silenzio, nella preghiera, nell'impegno. Che il Signore, Dio della pace e della giustizia, ci accompagni nel custodire il dono prezioso della libertà.

 

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa dei Santi Cosma e Damiano in Tagliacozzo
per la festa del Volto Santo

Egregio signor sindaco, avv. Giovagnorio, autorità civili e militari, e amato popolo di Dio, oggi e domani la città di Tagliacozzo si raccoglie con fede e commozione intorno a un'immagine che da secoli custodisce nel cuore: il Volto Santo di Gesù, che secondo la tradizione è lo stesso volto impresso miracolosamente sul velo della Veronica. Questo volto, segnato dalla passione, è oggi per noi luce e speranza, icona di amore che non si ritrae dal dolore, ma lo trasfigura. Non è il volto di chi è stato sconfitto bensì il volto di chi ha accettato di soffrire per esprimere tutto il suo amore verso ciascuno di noi.
Nel vangelo che abbiamo ascoltato, tratto dal capitolo 20 di Giovanni, Gesù appare ai discepoli nel cenacolo chiuso per paura, e la prima parola che pronuncia è: «Pace a voi!». Ed è significativo che Giovanni sottolinei: «Mostrò loro le mani e il fianco». Mostra cioè i segni della passione, le ferite dell'amore. Il Cristo risorto non è un altro rispetto al Cristo crocifisso. La risurrezione non ha cancellato le ferite, non ha chiuso i fori dei chiodi. È in quel momento che i discepoli riconoscono il Signore. Il volto di Gesù che oggi veneriamo è proprio quel volto: non un viso idealizzato o trasfigurato dalla gloria terrena, ma un volto umano, segnato dalla sofferenza, testimone dell'amore che ha attraversato il buio della croce. È il volto della misericordia, il volto che Tommaso riconosce non solo vedendo, ma toccando con mano l'amore di Dio.
Il libro degli Atti degli Apostoli ci ha raccontato dei prodigi che avvenivano tra il popolo: «Anche la sola ombra di Pietro guariva». Quei miracoli non erano illusioni: erano segni della presenza viva di Cristo nella sua Chiesa. Così anche oggi, guardando il Volto Santo, tanti trovano guarigione interiore, consolazione, forza per andare avanti. È un volto che parla al cuore, che dona speranza, che consola chi è affaticato.
Non si tratta di semplice devozione: è esperienza viva, comunitaria, della presenza di Cristo che ancora oggi cammina con noi, nelle nostre strade, nei nostri dolori, nelle nostre case.
Questa festa ha anche un significato civile profondo. Il Volto Santo non è solo oggetto di venerazione religiosa, ma è anche simbolo di identità cittadina. Unisce la comunità ecclesiale e quella civile in un cammino condiviso, fatto di rispetto, collaborazione, servizio al bene comune.
Tagliacozzo oggi non celebra solo una tradizione: celebra un legame. Il legame tra la fede e la storia, tra il popolo e il suo territorio, tra il volto di Cristo e i volti di ciascuno. In un tempo segnato spesso dalla frammentazione e dalla solitudine, questa festa è segno di una comunità che si ritrova, che si riconosce, che vuole camminare insieme.
Nel brano dell'Apocalisse, Giovanni, esiliato a Patmos, riceve una visione del Cristo risorto e glorioso. Eppure, davanti a quella manifestazione di potenza, cade come morto. E Gesù gli dice: «Non temere». Queste parole, che ci riportano ancora una volta al Volto Santo, ci fanno comprendere che Dio non ci vuole terrorizzati, ma fiduciosi. Non ci vuole schiacciati, ma liberati.
Il Volto Santo è allora il volto amico, che ci dice: «Non temere, io sono con te». Ecco il messaggio più profondo di questa festa: siamo un popolo custodito da un Dio che ci guarda con amore.
Carissimi, mentre oggi veneriamo il Volto Santo, siamo chiamati anche a riflettere quel volto. Ogni cristiano è chiamato a diventare volto di Cristo per gli altri: volto accogliente, volto misericordioso, volto che ascolta e che perdona. Anche come comunità civile, siamo chiamati a rendere visibile quel volto attraverso gesti concreti di solidarietà, di rispetto dell'altro, di promozione della dignità umana.
E allora, che questa festa rinnovi in tutti noi il desiderio di essere una città dal volto umano. Ecco la tua vocazione, mia cara Tagliacozzo: essere sempre più una città dal volto umano capace di accogliere tutti e di caratterizzarsi per la propria umanità, una città che non si perde in chiacchiere inutili perché si lascia ispirare dal Volto Santo, segno dell'amore che salva.
Ma questa festa chiede nel contempo alla Chiesa locale di essere una Chiesa dal volto fraterno, capace di riconoscere nel volto di ogni fratello, soprattutto se povero e sofferente, il volto di Cristo.
Ma oggi, mentre celebriamo questa festa così sentita per la nostra città, desideriamo unirci con commozione alla Chiesa universale che questa mattina ha salutato papa Francesco, il vescovo di Roma, pastore umile e profeta della misericordia. Il suo volto segnato dalla dolcezza del vangelo ha reso visibile a tanti il volto buono di Dio.
Tra le tante parole che ci ha donato, oggi vogliamo ricordarne una, che risuona come un testamento spirituale in questa giornata di luce e di dolore: «Il volto di Dio è quello di un Padre misericordioso, che sempre ha pazienza e ci ama. Non si stanca di perdonarci se torniamo a lui con il cuore contrito» (papa Francesco).
Che il Signore accolga il suo servo fedele nel regno dei giusti e che il Volto Santo, che oggi veneriamo, continui a illuminare il cammino della nostra comunità.
Amen.

 

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
santa Messa in suffragio di papa Francesco

«Chi è il più potente deve mettersi al servizio degli altri». Questo gesto colpì subito profondamente per la sua semplicità e per la potenza del messaggio: il papa non come autorità distante, ma come servo degli ultimi, vicino a chi vive il dolore, l'emarginazione e la speranza di una seconda possibilità.
E nel suo magistero, il papa ci ha più volte chiamati a ritornare all'essenziale, a non confondere la Chiesa con un'organizzazione sociale, a non smarrire la potenza del vangelo. Quante volte ci ha invitati a lasciarci sorprendere dalla «tenerezza di Dio», a non avere paura della misericordia!
C'è un messaggio che ha caratterizzato tutto il pontificato del papa argentino ed è il cuore del cristianesimo, quello della misericordia. Egli, fin dal primo angelus recitato il 17 marzo 2013, ci ha ricordato che la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio (cf. Gc 2,13): «Colpisce l'atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione». Ha testimoniato il volto materno di una Chiesa che si china su chi è ferito, in particolare su chi ha peccato. «Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici»: così ha scritto nella bolla di indizione del giubileo straordinario della misericordia Misericordiae vultus. E nel messaggio per la quaresima del 2015 auspicò: «Quanto desidero che le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell'indifferenza!».
Come Pietro, anche Papa Francesco ha parlato con franchezza, talvolta rompendo schemi, scuotendo coscienze, ma sempre con uno sguardo pieno di amore per la Chiesa e per l'umanità. È stato il papa delle prime volte: primo papa gesuita; primo papa a chiamarsi Francesco, per ricordarci tutti coloro che sono dimenticati dalla società egoistica, tecnologica e perbenista; primo papa che non ha vissuto nell'appartamento del palazzo apostolico per stare in mezzo alla gente. E il giorno prima della sua morte ha chiesto di essere accompagnato in piazza San Pietro per salutare il suo popolo. Il pontefice venuto dalla fine del mondo si è fatto vicino a tutti accogliendo e abbracciando tutti, senza aver paura di sporcarsi le mani e di portare su di sé l'odore delle pecore. L'ho visto pranzare e cenare a Casa Santa Marta come tutti gli altri. Si fermava all'ingresso per parlare con la gente. Ha voluto apparire sempre come un uomo normale anche in precarie condizioni di salute. Umanità, semplicità e sguardo limpido con cui incontrava chiunque, sono le caratteristiche della sua persona.
In questi anni, diversi sono stati i momenti in cui personalmente ho potuto incontrarlo, ricevendo parole di affetto, di sostegno e di fiducia, in particolare durante il corso di formazione dei vescovi ordinati nel 2021. Egli, vedendo la mia giovane età, come un papà, teneramente mi diede una pacca sulla spalla e disse: «Coraggio, coraggio». In seguito, quando lo avvicinai all'Aquila, in occasione della festa della perdonanza celestiniana del 2022, gli dissi che aveva l'età di mio padre che era deceduto da qualche anno. Egli mi rispose affermando che per me era papa e nel contempo faceva le veci del mio papà. Ancora un altro incontro avvenuto lo scorso anno quando ha ricevuto i vescovi ad limina della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. In quell'occasione con papa Francesco abbiamo avuto la possibilità di un colloquio profondo, in cui si è interessato delle gioie e delle fatiche del ministero episcopale di ogni vescovo dell'Abruzzo e del Molise, offrendo a ciascuno, senza alcuna fretta, come un padre attento e premuroso, preziosi suggerimenti e indicazioni. In occasione poi della festa dell'Azione cattolica in piazza San Pietro, il 25 aprile dello scorso anno, gli dissi che il coro che stava animando l'evento era costituito da giovani marsicani e gli chiesi una particolare benedizione per loro e per tutti i fedeli della Marsica. Mi sorrise compiaciuto pronunciando parole di apprezzamento per i giovani del coro diocesano.
Nel vangelo, i discepoli di Emmaus raccontano di aver riconosciuto Gesù «nello spezzare il pane», e proprio mentre parlano, il risorto si fa presente in mezzo a loro. Dice: «Pace a voi!». Questa è stata la missione di papa Francesco: portare pace, riconciliazione, fraternità. In un mondo lacerato da divisioni, violenze, e indifferenza, la sua voce è risuonata chiara: «Tutti fratelli!». Così ha intitolato una delle sue encicliche più potenti, proponendo un mondo più umano e più giusto, dove nessuno venga escluso. Spesso la sua voce è stata l'unica voce che ha ripudiato la guerra e ogni forma di violenza. L'unica voce che ha gridato il desiderio di pace.
Nel vangelo, i discepoli restano sconvolti, faticano a credere. Anche noi, tante volte, facciamo fatica a riconoscere il volto di Gesù nella realtà che ci circonda. Ma papa Francesco ci ha insegnato a cercarlo nei poveri, nei migranti, nei malati, in chi è scartato. Ci ha aiutato a vedere che ogni volto umano è volto di Cristo.
E come Gesù nel vangelo «aprì loro la mente per comprendere le Scritture», anche il papa ha saputo aprire il cuore di tanti al vangelo, con parole semplici ma profonde, capaci di toccare la coscienza anche di chi si era allontanato dalla fede.
Cari fratelli e sorelle, oggi rendiamo grazie per l'anima di questo uomo di Dio. Papa Francesco ci lascia una grande eredità: una Chiesa che cammina, che ascolta, che accoglie. Una Chiesa meno preoccupata di se stessa e più attenta alle ferite del mondo.
Ci ha insegnato a essere cristiani non «da salotto», ma in uscita. Ci ha insegnato che la fede non è un rifugio, ma una chiamata a servire. Ci ha insegnato che la gioia del vangelo è più forte di ogni paura.
Nel suo testamento spirituale – fatto non solo di parole ma di gesti – ci ha mostrato che si può vivere da credenti nel nostro tempo, senza rinunciare alla radicalità del vangelo.
Preghiamo oggi perché il Signore accolga papa Francesco nel suo abbraccio di luce. Che possa contemplare finalmente quel volto di Cristo che ha tanto amato, predicato, cercato nei fratelli e nelle sorelle.
E noi, lasciamoci ispirare dal suo esempio. Non rendiamo vano il seme che ha piantato con la sua vita. Continuiamo a camminare, insieme, come ci ha spesso detto: «Avanti! Sempre avanti!».
In tanti in questi giorni si lasciano andare a previsioni circa il nuovo pontefice. A noi non tocca fare previsioni, redigere classifiche. Il nostro compito è pregare nella certezza che il Signore manderà il pastore giusto per il bene del suo popolo. Amen.

 

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