Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale di San Bartolomeo in Avezzano
per la santa Messa di chiusura della fase diocesana del sinodo

8 maggio 2022

In questa celebrazione vogliamo ringraziare il Signore per il cammino percorso in questi mesi sotto la guida dello Spirito Santo. Il tempo della pandemia ci sembrava il meno adatto per il sinodo, eppure il cammino sinodale ha dato a molte parrocchie la possibilità di ritrovarsi. La risposta emotiva al sinodo è stata spesso di perplessità e dubbio, mentre durante il cammino è emersa sempre di più la gioia. La gioia di incontrarsi tra presbiteri, religiosi, religiose, e poi con i laici, con i sindaci, con i bambini e i ragazzi, con la comunità evangelica, con i poveri, con gli studenti, con i docenti. L'inizio del cammino sinodale in diocesi è coinciso con l'inizio del mio ministero episcopale e la necessità di una reciproca conoscenza poteva ritardare o rallentare il cammino.
In realtà ho subito trovato in tutti voi una grande disponibilità, una grande voglia di mettervi in cammino. Io da subito mi sono fidato di voi, dei vostri suggerimenti, e voi avete riposto in me la vostra fiducia e abbiamo così intrapreso, sotto l'azione dello Spirito Santo, un cammino che non termina oggi perché destinato a proseguire nel tempo, facendo però tesoro di quanto lo Spirito Santo ha suggerito nei diversi appuntamenti sinodali che ci sono stati nelle parrocchie, nelle foranie, negli uffici pastorali e in altri ambiti anche al di fuori di quelli a noi usuali e familiari. La programmazione pastorale del prossimo anno partirà di certo dalla sintesi diocesana di cui, prima di questa celebrazione, abbiamo ascoltato alcuni stralci.
E con il desiderio vivo di continuare a camminare insieme vogliamo fare tesoro di quanto la parola di Dio oggi ci suggerisce. L’accento della quarta domenica di Pasqua cade sempre su Gesù come pastore: il Gesù, che ha guidato i suoi discepoli durante la sua vita itinerante e di annuncio del regno di Dio, ha formato una comunità, ha fatto di alcune persone eterogenee, in buona parte modeste, a volte litigiose, a volte gelose, una comunità. Di queste pecore riottose, malate, alcune deboli, altre forti e prepotenti, ha fatto il piccolo gregge capace di camminare insieme e di essere segno del regno di Dio nella storia e, al di là di tutti i miracoli narrati dai Vangeli, questo è il miracolo veramente grande, la sconcertante impresa che Gesù ha portato a termine.
Gesù si presenta come il vero pastore del popolo di Dio. È lui che ha fatto di uomini e donne litigiosi una vera comunità. «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute» (Gv 10,27-28). In queste parole noi ritroviamo le azioni di Gesù buon pastore, ma anche le azioni di coloro che vogliono far parte della comunità di Gesù. L'opera di Gesù si esplica in quattro azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce. Il buon pastore è colui che è attento alle sue pecore, rivolge le sue parole e se ne prende cura. Gesù è colui che ci ama, così come siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti. La qualità che caratterizza il pastore buono é quella di dare la vita per le pecore. Gesù ci offre la possibilità di vivere una vita piena, senza fine. Il pastore conosce le sue pecore, e non si tratta di una conoscenza astratta. «Conoscere» nella Bibbia indica relazione, reciprocità. Il pastore è colui che si lega alle sue pecore e le aiuta ad attraversare i sentieri più impervi. Gesù è colui che ci aiuta a percorrere le strade rischiose che si presentano nel cammino della vita. Per essere popolo di Dio, per essere una comunità che cammina insieme, dobbiamo lasciarci tutti guidare da Gesù. È la prima indicazione che emerge dalla parola di Dio di oggi. Non assolutizziamo gli incarichi che abbiamo: l'essere vescovo, parroco, superiore o priore di una confraternita, presidente di un'associazione o anche semplicemente maestro di coro o catechista all'interno di una parrocchia, non è un prestigio di cui vantarsi, o una medaglia da esibire, ma semplicemente un servizio da rendere con umiltà.
Nessuno deve sentirsi superiore agli altri, siamo tutti chiamati a lasciarci condurre da Cristo. È lui il nostro pastore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato che i giudei, quando vedono che quasi tutta la città si radunò intorno a Paolo per ascoltare la parola del Signore, «furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo» (At 13,45). Guardiamoci dall’arrivismo, dalla gelosia, dalla sete di protagonismo, dal voler imporre a tutti i costi le proprie convinzioni. Mali questi che riguardano tutti, preti e laici, e che costituiscono i principali ostacoli di uno stile e di un agire autenticamente sinodale. Ai gesti che descrivono il modo in cui Gesù si relaziona con noi, fanno riscontro i verbi che riguardano le pecore, cioè noi. «Ascoltano la mia voce e mi seguono» (Gv 10,27). Ascoltare e seguire Gesù sono azioni fondamentali per camminare insieme. Ascoltare è apertura esistenziale all'altro, è attenzione alla sua persona prima ancora che alle sue parole. In una civiltà tutta dominata dall’avere e dal fare può sembrare che l'ascolto, atteggiamento di per sé passivo, sia a detrimento della propria personalità. Si pensa che l'azione sia ciò che conta davvero, in realtà una cisterna vuota non dà acqua, un uomo che non ascolta e che non è disposto a ricevere, non è in grado di dare. Se si vuole essere di più occorre l’umile atteggiamento di chi sa di aver bisogno di stare molto in ascolto. «L'ascolto – si legge della sintesi diocesana – prima che una tecnica metodologica, utile alla conduzione degli incontri, è stato riscoperto come forma di prossimità esistenziale. L’ascolto genera speranze, elimina il giudizio, lenisce le ferite e rende sostenibili le sollecitudini».
In una società che va sempre di corsa noi non sappiamo più ascoltare. In una società che ci chiede di imporci sempre sugli altri spesso noi non vogliamo ascoltare. Se non ci si ascolta, vescovo e preti, preti e laici, non è possibile camminare insieme. È la seconda indicazione che la parola di Dio ci offre. Accanto all'ascolto la sequela. La sequela richiede fiducia, solo se mi fido dell'altro, non solo ascolto ciò che mi dice, ma addirittura lo seguo, gli do credito, metto in pratica ciò che mi dice in quanto riconosco nella sua voce, la voce di chi mi ama. Riconoscere la voce è l'esperienza con cui ogni figlio, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia, il cuore verso di lei, ed è già felice prima ancora di arrivare a comprendere il significato delle parole. Basta una voce, un suono, un odore per farci capire che siamo tra le braccia giuste, quelle dalle quali non vorremmo essere mai lasciati. La sequela di Cristo, prima ancora che essere un'esperienza razionale fondata su regole, precetti, è un'esperienza d'amore, di appartenenza, di bellezza del sentirsi a casa, protetti e amati. Solo alla luce di questa bellezza possiamo camminare insieme, con il vivo desiderio di trasmettere a tutti la gioia di seguire Gesù.
«Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede – scrive papa Francesco nel messaggio per la odierna giornata mondiale di preghiera per le vocazioni – è un soggetto attivo all'interno della Chiesa. Bisogna guardarsi dalla mentalità che separa preti e laici, considerando protagonisti i primi ed esecutori i secondi e portare avanti la visione cristiana come unico popolo di Dio, laici e pastori insieme, tutta la Chiesa è chiamata a camminare insieme seguendo e annunciando Cristo». Quando la nostra testimonianza di preti e laici è coerente, lontana da ogni forma di arrivismo, protagonismo e gelosia, apriamo ai nostri giovani una strada di vita bellissima. I giovani ci guardano e le nostre ipocrisie fanno loro tanto male. Trasmettiamo loro la bellezza di essere amati da Dio, di volerci bene, di camminare insieme: solo così potranno sentire nel cuore il desiderio di innamorarsi di Gesù e di amare la Chiesa.