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Saluto di don Antonio Allegritti
a nome del clero diocesano
alla santa Messa per il saluto ufficiale di mons. Pietro Santoro
alla diocesi dei Marsi

Eccellenza!
«Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri giorni non lo abbiamo ancora vissuto». Nel settembre 2007 la Chiesa dei Marsi sentì da lei queste parole provocanti. E ora siamo noi a dedicarle a lei, marsicano nel cuore. Con fiducia nell’avvenire, che è nelle mani di Dio. Ma anche, inevitabilmente, con una tenerissima nostalgia, tanto umana!
Legga nelle mie parole il nome di tutti i preti e diaconi. In questa amatissima chiesa cattedrale, grembo della vita sacerdotale, lei ha riversato il profumo del crisma tra le mani di tanti di noi. Qui, intorno a lei, per quatordici anni durante la messa crismale, noi abbiamo rinnovato le nostre promesse sacerdotali. Qui, lei ha pronunciato l’estremo arrivederci a tanti fratelli, entrati nel cielo trinitario. Nella comunione dei santi ci sono anche essi oggi. A loro diciamo le parole che lei ha rivolto ai suoi genitori: «Ci rivedremo»!
Eccellenza, grazie per le sue parole. Parole sempre pesate. Dio crea dicendo; disse, e le cose furono. Dio crea con le parole, parole-eventi, dabar. Le sue parole sono state la nostra casa. Perché provocanti, perché inquiete, perché anche sofferte. Ci ha donato le parole della letteratura, le parole dei mendicanti di Dio, le parole dei poeti, cantori di un Dio davanti al quale danzare.
Grazie per la sua sensibilità. Mai ci ha trattato come esecutori. Sempre come collaboratori. E sempre abbiamo intravisto la delicata attenzione alle piccole cose, i piccoli gesti. I gesti degli animi sensibili: uno sguardo, talvolta timido, una carezza, una lacrima fermata, la tenerezza per un animale, la lettura attenta di un libro, la capacità di avere, davanti al male, lo stesso sguardo di Cristo misericordioso.
Grazie per l’amore ai giovani. Ai nostri giovani. «Introibo ad altare Dei. Ad Deum qui laetificat iuventutem meam. Salirò all’altare di Dio, a Dio che rallegra la mia giovinezza». Dio renda lieta la giovinezza del suo cuore. Il cuore che l’ha portata, giovane, a sognare i paesaggi dell’America latina. Il cuore che, nell’obbedienza, l’ha portata a San Salvo, missionario a casa. Il cuore che l’ha portata in tutte le GMG, ove con i giovani ha consumato tantissime scarpe.
Grazie per la sua generosità, e per la frugalità sobria con cui a noi ha indicato l’esempio di Cristo povero. Grazie per la profezia, con cui ha incarnato le parole di papa Francesco prima ancora che il Santo Padre le pronunciasse. Nell’ordinazione di uno di noi, disse: «Metti solo il Vangelo nello zaino e fai buon viaggio»!
Eccellenza, l’inizio è avanti. Non stiamo celebrando un addio ma la trasformazione dei legami, che diventano ora preghiera. Non è questa la festa del raccolto, perché sappiamo che l’importante è seminare. Grazie per la semina, soprattutto quella nascosta. Mosè non entrò nella terra promessa, ma alle soglie della terra dovette fermarsi. E fu Giosuè ad entrare. Ognuno di noi è un po’ Giosuè e un po’ Mosè: un padre che consegna alla vita i suoi figli. E, oggi, un vescovo che affida alla successione degli apostoli la diocesi amata, e i preti e i diaconi e il popolo custodito.
Nel settembre 2007 ci disse, citando Buber: «C’è una cosa che si può trovare in un unico luogo al mondo, è un grande tesoro, lo si può chiamare il compimento dell’esistenza. E il luogo in cui si trova questo tesoro è il luogo in cui ci si trova. È sotto la stufa di casa nostra che è sepolto il nostro tesoro». Si apre per lei una nuova stufa, in una nuova casa tra le montagne marsicane. Ma non si chiude la prima casa.
Due uomini si incontrarono. L’uno chiese all’altro: «Dove stiamo andando?». E l’altro: «Sempre verso casa». Questo rende più sereno il nostro saluto. Per favore, si senta abbracciato da ciascuno di noi, con lo stesso calore che ha dato a molti nell’abbraccio dell’ordinazione. Mentre le diciamo: «La pace sia con te», ci sia pace nel tuo cuore, vescovo Pietro. Amen.

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