Omelia di S.E. Mons. Pietro Santoro
dalla cattedrale dei Marsi in Avezzano

Con quale profondità abbiamo accolto la narrazione della passione di Gesù. Come ci sentiamo avvolti da eventi che sono stati e sono un immenso abisso di peccato e di amore, di perdizione e di salvezza. Ci siamo dentro tutti. Ognuno chiamato a non sentirsi estraneo, ma a sfogliare il libro della sua vita, della sua fede. Il tradimento di Giuda pertrenta monete d’argento e la sua disperazione impiccato all’albero, perché incapace di credere alla misericordia del Signore. Il tradimento di Pietro, «Gesù? Non lo conosco!», e le sue lacrime di pentimento dopo il canto del gallo che scava il rimorso e la fiducia di non avere smarrito l’amore di Gesù. L’Eucaristia. «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». Il corpo che sarà immolato sulla croce diventa nell’Eucaristia il pane della permanenza di Gesù nella storia: il pane della redenzione. L’agonia nell’orto degli ulivi; il sonno dei discepoli, il sonno dell’impotenza e della fuga; la condanna del sinedrio. Il processo farsa a chi aveva scardinato il Dio visto come copertura di una religiosità vuota e ipocrita. Pilato, e la paura di perdere il potere, la folla manovrata. E c’è sempre un Barabba, ieri come oggi, che la folla sceglie per condurre al patibolo l’innocente. Una corona di spine, di sputi. La derisione. Il cammino verso la collina del supplizio. L’uomo di Cirene costretto a portare la croce del Signore. Il Golgota, la crocifissione, e ancora insulti, «scendi dalla croce e salva te stesso»; ma il Signore non scende, rimane. Rimane inchiodato nel dono di un amore che salva, assumendo tutte le negazioni dell’uomo di ogni tempo. E poi il buio. Il buio della desolazione suprema, il sentirsi abbandonato persino dal Padre. E l’ultimo grido, il grido della morte. Il riconoscimento appartiene ad un pagano, il centurione: «Davvero costui era il Figlio di Dio!».
Il riconoscimento non è della folla della domenica delle palme, dell’ingresso festoso di Gesù a Gerusalemme. Quella folla non c’è più, è scomparsa, si è dileguata. Aveva accompagnato Gesù in corteo, ma il corteo delle palme si era sciolto, diluito nella paura e nella falsa immagine di un Dio concepito soltanto come il paravento di un benessere terreno. Inconcepibile, per la folla, un Dio che si consegna alla morte. Un Dio che muore crocifisso nell’unica cattedra che ribalta la logica del peccato: la cattedra dell’amore fino alla consumazione. E infine, la pesante pietra che sigilla il sepolcro. Tutto finito? No. Ma dove finisce l’uomo Dio continua. E noi crediamo, dove e come, Dio continua. Continua nel cuore di chi fa entrare Dio nella propria vita, e la vita diventa un canto di risurrezione, deposto nella cenere di ogni peccato. Ciascuno di noi si lasci trafiggere dalla passione de Signore che ci ricompone, dentro e oltre, le nostre domande. Dentro ed oltre i nostri perché. Oggi è il tempo dei perché. Perché le morti in questo tempo di aggressione del male? Perché le morti in solitudine? Perché il dolore innocente? Perché le vittime delle violenze e delle ingiustizie? Perché proprio a me? Perché proprio alla mia famiglia? La risposta sta tutta dentro gli occhi che sanno guardare Cristo, che incrociano gli occhi di Cristo e che sanno dire «ecco l’uomo, ecco il nostro fratello nel dolore». Dio non è venuto ad eliminare il dolore, ha fatto di più. È venuto a prendere su di sé il dolore dell’uomo. Ed ecco cos’è la croce: non è un simbolo, è il segno; è il sacramento della sofferenza degli uomini che Dio riceve e che mette sulle proprie spalle. La croce è il lutto terribile del dolore umano che va a schiantare il cuore di Dio. Nel corpo straziato di Cristo, niente è stato dimenticato. Nel corpo straziato di Cristo cisono i nostri lamenti, le nostre solitudini, i nostri strazi, e niente va perduto. Cristo è venuto a cercare il dolore inutile, lo ha caricato sotto il peso della sua croce e ognuno può dire «Gesù, fratello mio». La Pasqua comincia ora, ai piedi della croce e di fronte al sepolcro sigillato. E ogni tristezza e ogni paura devono cambiarsi in speranza. La speranza è Gesù. Il futuro nuovo per me, per voi, per tutti è soltanto Gesù! Amen.