Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale dei Marsi in Avezzano
in occasione dell’apertura della fase diocesana del sinodo della Chiesa universale 2021/2023

Nel vangelo di Marco, dopo ognuno dei tre annunci della passione fatti da Gesù lungo il cammino verso Gerusalemme, è registrata una scena di incomprensione da parte dei discepoli. Dopo il primo annuncio è Pietro che prende in disparte Gesù e lo rimprovera. Non sappiamo cosa gli abbia detto. Possiamo immaginarlo. Lo avrà rimproverato perché pensava più agli altri che a se stesso; lo avrà rimproverato perché non aveva calcolato bene le ripercussioni che la sua morte avrebbe avuto sugli stessi discepoli. Anche quando Gesù annuncia per la seconda volta la sua imminente passione, tutti i discepoli non comprendono e addirittura si mettono a discutere su chi tra loro fosse il più grande. Nel brano di questa XXIX domenica del tempo ordinario dell’anno B sono invece Giacomo e Giovanni che si mostrano distanti dal modo di pensare di Gesù. I due fratelli sono stati tra i primi discepoli, sono inoltre cugini di Gesù, in quanto la loro mamma probabilmente era la sorella di Maria, la madre di Gesù e per questo pensano di vantare dei privilegi. E allora si presentano a Gesù e gli dicono: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,37).
È una pretesa, più che una domanda fatta da chi ragiona esattamente, come tante volte facciamo noi nel quotidiano: le relazioni contano nella misura in cui possiamo ricavare dei vantaggi. Diversamente non servono a nulla. E spesso anche con Dio noi vantiamo pretese. Pretendiamo che faccia ciò che noi vogliamo. Desideriamo un Dio obbediente, che faccia la nostra volontà, sia garante delle nostre scelte. Questa richiesta da parte dei due fratelli suscita subito una reazione sdegnata negli altri.
Gesù non si inalbera con Giacomo e Giovanni ma convoca i discepoli attorno a sé e dà loro una lezione molto istruttiva. «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così!» (42-43). Attenzione! Gesù non dice: «Tra voi non sia così», facendo un augurio, ma: «Tra voi non è così!». Bellissima espressione che mette a fuoco la differenza cristiana. Gli altri dominano, non così tra voi. Voi vi metterete a fianco delle persone mai al di sopra. Gli altri opprimono: voi invece solleverete le persone. E poi Gesù continua dicendo: «Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (43-44). Gesù non nega il desiderio di essere grandi. Dietro ogni desiderio umano, anche il più storto, c’è sempre una matrice buona, un desiderio di vita, di bellezza, di armonia. Ogni desiderio umano ha sempre dietro una parte sana, piccolissima magari. Ma è la parte da non perdere. Si tratta di saper educare i desideri e incanalarli nella via corretta. Per diventare grandi, dice Gesù, bisogna divenire servi. Nella Chiesa non c’è possibilità di acquisire meriti di anzianità, di fare carriera, di vantare privilegi, di ricevere onori: occorre essere servi dei fratelli e delle sorelle e basta!
L’ultima frase del vangelo è di capitale importanza: «Sono venuto per servire» (45).
È la più spiazzante definizione di Gesù Cristo. Gesù non ha dominato, ma ha sempre servito fino a farsi schiavo, fino a lavare i piedi, fino ad accettare una morte ignominiosa assimilato ai malfattori. Sì, Gesù è il servo sofferente tratteggiato dal profeta Isaia nel brano ascoltato nella prima lettura (Is 53,10-11). Essere servi non riguarda solo la comunità dei dodici ma riguarda soprattutto noi, la Chiesa di oggi. In particolare riguarda quelli che nella comunità cristiana esercitano un servizio sempre tentati di farlo divenire dominio, potere, sempre tentati di lavorare per sé e non per il bene della comunità. Carissimi amici, sono qui da due settimane e il Signore mi ha chiamato a essere servo di questa comunità. Pregate per me, affinché mai possa trasformare il servizio in potere e mai gli interessi personali possano prevalere sul bene di questa comunità.
Come Gesù tutti noi siamo però chiamati a essere umili servi nelle mani di Dio. Nasce così la Chiesa identificata dal cardinal Martini come una «comunità che in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali e interessate, esprime la possibilità di relazioni gratuite, forti e durature, cementate dal dialogo e dalla mutua accettazione».
Il sinodo della Chiesa universale, voluto fortemente da papa Francesco, e che oggi si apre in tutte le diocesi del mondo, non è finalizzato a fare un’altra Chiesa bensì una Chiesa diversa. Fare sinodo significa camminare insieme. Le parole chiave del sinodo sono tre: comunione, partecipazione, missione.
Comunione e missione esprimono la natura della Chiesa. Ma comunione e missione rischiano di restare termini astratti se non si coltiva una partecipazione vera da parte di tutti. Nella Chiesa tutti i battezzati sono protagonisti. Non è protagonista il vescovo bensì tutti e nessuno può essere considerato una semplice comparsa. «Uno dei nodi della Chiesa è il clericalismo che stacca il prete, il vescovo dalla gente e quando – ha affermato papa Francesco – il vescovo o il prete si staccano dalla gente diventano dei funzionari e non pastori».
Il sinodo avrà tre fasi: la prima è la fase diocesana che si apre oggi, il cui obiettivo è la consultazione del popolo di Dio la cui modalità sarà decisa e stabilita discutendo e lavorando insieme. I lavori inizieranno già martedì 19 ottobre avendo convocato presbiteri, diaconi e religiosi per vivere l’assemblea presbiterale.
Alla fase diocesana seguirà la fase sapienziale, nella quale i lavori saranno allargati a livello nazionale, e infine la fase profetica, con l’indicazione per la Chiesa universale di alcuni passi e scelte da mettere in atto.
Nella fase diocesana si tratta di porsi in ascolto all’interno delle parrocchie, delle comunità religiose, delle foranie, delle aggregazioni laicali e dei diversi organismi di partecipazione. Un vero incontro nasce sempre dall’ascolto. Ascolto della Parola di Dio insieme alle parole degli altri. Fare sinodo è scoprire che lo Spirito Santo soffia in modo sempre sorprendente per suggerire percorsi e linguaggi nuovi.
In questa prima fase vogliamo imparare ad ascoltarci, vescovo, preti, diaconi, religiosi e laici, evitando risposte artificiali e superficiali. Lo Spirito chiede di metterci in ascolto delle domande, degli affanni, delle speranze di ogni battezzato. Sono certo che più che attendersi ricette efficaci o miracoli dal documento finale, che pure auspichiamo concreto e coraggioso, sarà proprio questo percorso di ascolto del Signore e dei fratelli a farci sperimentare la bellezza dell’incontro, la bellezza della Chiesa.
In particolare sarà per la nostra Chiesa locale importante sperimentare la bellezza di sentirci fratelli tra noi presbiteri. Il primo dono che i presbiteri sono chiamati a offrire alla comunità cristiana non è una serie di iniziative o una somma di funzioni ma la testimonianza di una fraternità concretamente vissuta, un servizio pastorale che sia segno credibile di una comunione non soltanto operativa ma cordialmente fraterna. Le divisioni e le frizioni tra noi presbiteri diventano presto divisioni e frizioni tra le diverse comunità parrocchiali. E questo non è bello!
Non si è presbiteri senza o a prescindere dal vescovo e dai confratelli. Del resto, l’esperienza insegna come la solitudine per un prete non stia nel fatto che, una volta chiusa la porta della canonica, non trovi nessuno accanto a sé, quanto piuttosto nella mancanza di comunione con i confratelli. Il presbiterio è il luogo dell’incontro, del dialogo, è il luogo per sperimentare la bellezza di essere preti.
Sarà, inoltre importante per la nostra comunità diocesana, camminare insieme tra le diverse realtà ecclesiali, superando un rigido campanilismo che rischia di immobilizzarci. Mi piace rileggere in senso ecclesiologico il comandamento biblico dell’«Ama il prossimo come te stesso» (Lv 19,18) in questo modo: «Ama la parrocchia altrui come la tua, l’aggregazione laicale altrui come la tua, la confraternita altrui come la tua». Le parrocchie e i vari organismi non sono chiamati a essere realtà isolate ma in profonda comunione tra loro.
Sarà importante valorizzare ulteriormente il laicato che in questa diocesi costituisce una risorsa importante. L’ora nella quale la splendida teoria sul laicato espresso dal concilio possa diventare un’autentica prassi ecclesiale va accelerata ora più che mai nel senso di cogliere l’intera ricchezza di grazia e di responsabilità per la missione evangelizzatrice della Chiesa e per il servizio al bene comune della società.
Dobbiamo solo evitare che il sinodo si riduca a un evento straordinario solo di facciata proprio come se si restasse a guardare una bella facciata di una Chiesa senza mai mettervi piede dentro.
Viviamo invece, carissimi fratelli e sorelle, questa occasione di incontro, ascolto e riflessione come un tempo di grazia che nella gioia del vangelo consente alla nostra Chiesa dei Marsi di essere chiesa sinodale cioè un luogo aperto, accogliente dove tutti si sentono a casa desiderosi di partecipare e sperimentare la bellezza di essere discepoli di Gesù.