Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale dei Marsi in Avezzano
alla santa Messa per l'inizio del ministero pastorale nella diocesi dei Marsi

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa dei Marsi, stiamo vivendo il nostro primo incontro e questo, non vi nascondo, mi riempie il cuore di gioia perché finalmente posso vedere la mia gente, contemplo quella porzione del popolo di Dio che mi è stata affidata. In tanti mi avete scritto, vi siete fatti sentire con una telefonata, un messaggio, una mail. Vi ringrazio di vero cuore. Sono appena entrato in questa terra, lontana dalla mia terra, è già mi sento a casa.
Saluto con affetto i presbiteri, i religiosi, i diaconi, le religiose, i seminaristi e i fedeli laici nonché quanti ci seguono da casa attraverso la televisione o la rete. Agli ammalati chiedo di unire la preghiera al sacrificio delle proprie sofferenze.
Saluto con sincera gratitudine i numerosi presbiteri e i fedeli giunti dalla mia cara diocesi di Andria che con mons. Luigi Renna, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano ma originario della diocesi di Andria e il Sindaco della città di Andria, l’avv. Giovanna Bruno, sono qui venuti per accompagnarmi e condividere questo momento di festa.
Quanto amore ho sperimentato nella mia diocesi e quanto mi sono sentito circondato di affetto più che mai in questi giorni. In tanti incontrandomi mi avete detto: «Sono felice per te. Ho seguito la celebrazione di ordinazione episcopale e ho pianto per la gioia. Ti accompagnerò con la preghiera e ti porterò nel cuore!». Grazie.
Al vescovo Pietro che ha presieduto come pastore e servo questo popolo di Dio, va il mio grazie e quello della comunità ecclesiale che ha servito per quattordici anni. Le siamo grati, eccellenza, per tutto il bene che ha fatto e per il tanto lavoro profuso. Si senta abbracciato con lo stesso calore che lei ha dato a tutti.
Ringrazio il cardinal Petrocchi e gli arcivescovi e i vescovi che sono in Abruzzo e Molise per avermi accolto con entusiasmo nella grande famiglia della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. Sono molto contento di camminare con voi in spirito di profonda e sincera comunione.
Carissimi sindaci e autorità civili e militari che mi avete salutato benevolmente e che ora siete presenti in questa assemblea, la vostra presenza dice la stima che avete per la Chiesa e vi ringrazio per il servizio a questo popolo che ci fa sentire in comunione di intenti.
Nel primo messaggio alla diocesi ho già aperto il mio animo descrivendovi i sentimenti che abitano il mio cuore sin da quando il nunzio mi ha comunicato la scelta del Santo Padre di nominarmi vescovo dei Marsi.
In primo luogo lo stupore per il coraggio che ancora una volta Dio ha avuto rivolgendo il suo sguardo misericordioso sulla mia povera persona. Non si diventa vescovi perché migliori degli altri bensì perché Dio è buono. A lui la mia lode e il mio ringraziamento.
Ogni chiamata è una manifestazione dell’amore di Dio che non conosce limiti e non esclude nessuno. Ecco perché ho vissuto il primo momento di questo pomeriggio presso il carcere di Avezzano e ho detto ai detenuti che «Gesù vi ama e vuole per voi un futuro migliore. Per Gesù cambiare è possibile. Non credete a chi vi sussurra: “Non puoi farcela”. Tutti abbiamo un orizzonte. Aprite le porte del cuore e guardatelo». E accanto allo stupore provo un senso di timore perché sono consapevole che il ministero che mi viene affidato è carico di responsabilità pastorali, spirituali e umane. Nella Chiesa i ministeri che vengono affidati non sono medaglie da esibire o gradini sui quali salire per guardare gli altri all’alto verso il basso, bensì servizi da vivere con grande senso di responsabilità. Mi rincuora la certezza che quando Dio chiama qualcuno al servizio apostolico lo rende idoneo, offrendogli la sua grazia e mi incoraggia il vostro entusiasmo nonché la vostra fiducia che ho avvertiti sin dal primo momento.
Vi chiedo di volermi bene così come sono, di essere clementi e misericordiosi dinanzi alle mie fragilità. Invito tutti, presbiteri, diaconi e laici a intessere subito tra di noi relazioni segnate dalla carità nella verità, avendo cura sin dall’inizio di rimanere lontani da uno stile relazionale offuscato dalla finzione e dall’adulazione. Costruiamo invece rapporti leali, rispettosi e franchi in un clima di amore sincero.
Ho avuto già modo di dirvi che non ho oro, né argento da distribuirvi, né intelligenza tanta per farvi sapienti. Io vengo qui per unirmi a voi e divenire buono insieme a voi.
La parola di Dio di questa domenica sottolinea che siamo stati creati da Dio con un grande desiderio di amare ed essere amati.
«Non è bene che l’uomo sia solo». È questa l’affermazione rivelatrice della verità profonda dell’essere umano, creato per uscire da sé stesso, per incontrare l’altro. L’essere umano è chiamato a entrare in relazione con le altre creature in una relazione di amore, di aiuto e di rispetto. La pandemia ci ha ulteriormente aiutati a prendere coscienza che la grande paura che ogni uomo si porta dentro è la paura della solitudine, la paura cioè di non avere accanto a sé qualcuno che lo ami e qualcuno da amare.
E l’essere il custode del giardino, con tutte le sue ricchezze e i suoi splendori, non gli basta. Nemmeno l’impegno di dare il nome agli animali, espressione dell’altissima dignità a cui Dio lo chiama, gli basta. Non lo appagano le cose materiali, né gli impegni, né l’affermazione personale. L’essere umano ha bisogno di altro. Ha bisogno di perdersi nell’amore. Solo una vita persa per amore di Cristo e dei fratelli, è una vita trovata. È questo il motto episcopale da me scelto. La vita si realizza donandola e si sviluppa effondendola.
E oggi il Signore mi affida questa Chiesa come sposa. Proprio la metafora vescovo-sposa ci aiuta a comprendere molto bene la natura della relazione tra il vescovo e la Chiesa locale a lui affidata. In particolare il vescovo, ricevendo l’anello durante l’ordinazione episcopale, si impegna a custodire la Chiesa, sposa di Cristo, nell’integrità della fede e nella purezza della vita, e i fedeli, baciando tale simbolo, salutano la Chiesa che è sposa e madre, impegnandosi ad amarla nel servizio e nella fedeltà.
Molti si sono chiesti: «Quale programma avrà il nuovo vescovo per la Chiesa a lui affidata?». In realtà non sono qui a dare un programma perché il programma si fa insieme, dal basso e con la gente.
Il cammino sinodale voluto, da papa Francesco, ci farà tanto bene. Pregare insieme, pensare insieme, discernere insieme e decidere insieme è una grazia unica, di cui oggi più che in altri momenti della storia, la Chiesa Italiana ha bisogno.
Da parte mia proverò a incarnare lo stile episcopale indicato dal concilio Vaticano II e attualizzato nell’insegnamento e nella testimonianza di papa Francesco che più volte ha sottolineato la necessità che i vescovi siano oggi uomini vicini a Dio e che con disponibilità reale siano capaci di essere vicini alla gente, soprattutto agli ultimi, e con amore di padri stiano accanto ai presbiteri.
La preghiera è il primo impegno pastorale di un vescovo per portare a Gesù le persone e le situazioni.
La prossimità con Dio porta i pastori a essere vicini alla gente e ai propri sacerdoti. Conoscere i propri sacerdoti costituisce il nucleo essenziale e irrinunciabile delle ragioni per cui un vescovo possa dirsi padre e un sacerdote possa sentirsi figlio.
In questi anni di servizio in diocesi come vicario generale ho ben appreso che la relazione tra il vescovo e i suoi preti è a beneficio di tutti e ha delle ricadute immediate nella qualità della vita della Chiesa diocesana e so bene quanto i sacerdoti abbiano bisogno di un pastore che li ami, li segua, li incoraggi perché siano stimolati amorevolmente a una vita donata.
Cari sacerdoti, non risparmiatevi e non abbiate mai paura di donarvi totalmente a Cristo e ai fratelli.
Oggi più che mai non ci è consentito essere sacerdoti mediocri o superficiali. La testimonianza di un sacerdozio vissuto bene, nobilita la Chiesa, suscita ammirazione nei fedeli ed è la migliore promozione vocazionale.
La paternità episcopale non è però misurata solo dalla generosità nel dare ai preti qualche pacca sulle spalle, bensì anche dalla libertà di compiere, quando è necessario a viso aperto, l’opera di misericordia della correzione fraterna.
Carissimi fedeli laici presenti nelle diverse aggregazioni laicali, confraternite e movimenti, so bene che siete una risorsa importante per la vita di questa diocesi e dei paesi o città in cui vivete. Ho molta fiducia in ciascuno di voi e confido nella vostra passione per il vangelo e nella disponibilità a seguire con gioia Gesù Cristo. Tutti insieme, presbiteri e laici, amiamo questa Chiesa e insieme prodighiamoci per farla crescere affinché sia sempre più santa.
Il mio ultimo pensiero va ai giovani, ai quali lei mons. Santoro ha dedicato tante energie. Una Chiesa che non parla ai giovani rischia di non parlare a nessuno. Cari giovani, la Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Nel Sinodo dei giovani, un ragazzo delle isole Samoa ha detto che la Chiesa è una canoa, in cui gli anziani aiutano a mantenere la rotta interpretando la posizione delle stelle, e i giovani remano con forza immaginando ciò che li attende più in là.
Saliamo allora tutti sulla stessa canoa e insieme sotto l’impulso sempre nuovo dello Spirito Santo iniziamo il nostro viaggio. La Madonna di Pietraquaria ci preservi dalle onde della superbia e dagli scogli delle tribolazioni.
Buon cammino a tutti!