Omelia di S.E. Mons. Pietro Santoro
dalla cattedrale dei Marsi in Avezzano

Il venerdì santo è il cuore della nostra fede. Sul Calvario il volto di Dio incarnato è stato oltraggiato, deriso, crocifisso, ucciso. Non è un fatto di cronaca accaduto nella periferia dell’impero, ma è il mistero immenso di Dio che per amore si è caricato del peccato degli uomini, si è caricato di ogni dolore umano, ha offerto il suo figlio nell’abbandono estremo alla croce e offrendolo si è consumato per amore. E da quel lontano venerdì santo nessuno di noi è periferia di Dio. Non esiste situazione umana di povertà, di abbandono, di solitudine che non sia raggiunta dall’amore crocifisso del Figlio di Dio. Ogni nostra morte del corpo e dell’anima è conficcata nel cuore del crocifisso. La collina del Calvario incrocia le nostre strade: le strade delle nostre città, dei nostri paesi, delle nostre famiglie. E non possiamo voltarci da un’altra parte perché percorreremmo le strade della perdizione. La strada obbligante per tutti è la stessa che ha portato il figlio di Dio sulla croce: vivere per amore, vivere donando amore, senza deviazioni. Diventa sempre più necessario percorrere questa strada e il nostro, diventa sempre più il tempo delle sofferte solitudini e del dolore innocente. Quando Dio muore nelle coscienze muore la fraternità, muore la condivisione, muore il perdono. Gesù crocifisso, morto per amore, cerca come un mendicante donne e uomini capaci di pagare il prezzo più alto affinché prenda corpo nel mondo il Vangelo della misericordia.
E misericordia vuol dire portare tutti nel cuore, nessuno escluso. Vuol dire sentirsi responsabili del destino dell’altro, assumere il bisogno dell’altro, di ogni altro. E tutto cambia in noi se assumiamo lo sguardo di Gesù. Tutto cambia se guardiamo l’altro con gli occhi stessi di Gesù. Se non lo comprendiamo ora, quando lo comprenderemo? Quando comprenderemo che siamo legati l’uno all’altro? Quando lo capiremo? Quando capiremo che siamo chiamati ad essere un popolo capace di costruire la dignità di ognuno e di tutti, e che a ciascuno è lecito fare tutto ma non imboscarsi in una cavità di gioia blindata. La passione di Gesù non è una cornice immobile. La passione di Gesù continua fino alla fine dei tempi. Continua nella carne fragile di ogni uomo, di ogni donna, nelle ferite aperte durante le agonie dell’anima e del corpo. E noi non possiamo recitare la passione solo con sospiri di devozione, sarebbe la caricatura della nostra fede. Dobbiamo toccare la passione di Gesù lasciandoci trafiggere dalla carne di chi vive la passione. Il Signore aspetta la discontinuità dei nostri gesti, delle nostre parole. Mi affido e vi affido al cuore trafitto di Cristo, affinché Cristo entri nel cuore di tutti come maestro e redentore. Nella grande sera di una storia contemporanea schiacciata da un presente sospeso nessuno di noi è dimenticato da Dio, in Gesù abbandonato sulla Croce, nessuno è abbandonato. Nessuno.