Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale in Avezzano
per la festa della pace

Domenica 30 gennaio, nella cattedrale di Avezzano, insieme al vescovo Giovanni Massaro si è celebrata la tradizionale festa della pace, momento di festa insieme e di preghiera, in particolare quest’anno per la situazione critica in Ucraina. Il tema della giornata ha ripreso quello del messaggio di papa Francesco per la 55ª giornata mondiale della pace, «Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni: strumenti per edificare una pace duratura». È stato un bellissimo pomeriggio di preghiera e testimonianze, promosso dalla Tavola della pace marsicana, alla quale aderiscono l’Agesci, la Caritas, Migrantes, la Pastorale giovanile, il Centro missionario, la Pastorale sociale e del lavoro, l’associazione Rindertimi, la Pastorale familiare e l’Azione cattolica. Un impegno, quello per la pace, che le associazioni e le realtà diocesane portano avanti da oltre venticinque anni. Tra le testimonianze quella di due ragazzi, Martina Moretti e Ibrahim Mzoughi, in servizio civile presso l’associazione Rindertimi, che hanno raccontato l’incontro in preparazione alla giornata della pace che si è tenuto il 24 gennaio presso il castello Orsini di Avezzano, per richiamare esigenze e prassi tra le generazioni sugli itinerari di salvaguardia della pace, dai tempi dell’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio, fino agli attuali progetti di servizio civile. A seguire la testimonianza di Alfredo Chiantini, che ha raccontato l’esperienza del patto educativo globale, un’unione di intenti tra Azione cattolica e Agesci, una sfida comune che viene raccolta in diocesi dalle associazioni con il rinnovato impegno educativo mettendo al centro i ragazzi, o loro bisogni e i loro sogni. I ragazzi dell’Azione cattolica e dell’Agesci hanno poi posto sull’altare i salvadanai con le loro offerte raccolte per la costruzione di un orfanotrofio in Egitto. Ecco dunque il messaggio del vescovo dei Marsi, Giovanni Massaro, pronunciato in occasione della festa diocesana della pace.

Siamo qui, oggi pomeriggio, come comunità diocesana per invocare insieme il dono della pace. All’inizio avete ringraziato me e la mia presenza, in realtà sono io che voglio ringraziare voi per questa presenza così ricca e variegata che vede adulti, giovani e ragazzi. Ringrazio tutti i promotori e in modo particolare ringrazio i ragazzi dell’Azione cattolica e Agesci che hanno raccolto in questo mese i propri risparmi destinandoli per la costruzione di un orfanotrofio presso Il Cairo, capitale dell’Egitto. La pace si costruisce anche così, rinunciando a qualcosa di proprio rendendo felice chi è più bisognoso di noi. Sono ancora tanti i paesi in guerra: domenica scorsa, in particolare, il papa ci ha invitato a rivolgere il nostro sguardo a ciò che sta avvenendo ai confini tra Russia e Ucraina, laddove soffiano venti di guerra. La guerra non guarda in faccia a nessuno ed è una sconfitta per tutti. Chiediamo al Signore il dono della pace. Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi, tanti momenti di ostilità e di oscurità, tanto sangue versato, tante vite spezzate, tante speranze seppellite, ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci tu, donaci tu la pace, guidaci tu verso la pace. Facciamo tutti un minuto di silenzio, pensiamo ai paesi che sono in guerra e nel silenzio del nostro cuore chiediamo al Signore il dono della pace. [È seguito un minuto di silenzio]
Ma il brano evangelico ascoltato ci ha detto che ci sono anche conflitti tra di noi, quando sorgono incomprensioni, quando qualcuno ci fa del male, e noi per primi siamo chiamati a essere artigiani di pace. «La pace – afferma don Tonino Bello- non ha la vestaglia da camera ma lo zaino del viandante». Siamo chiamati a metterci in cammino per costruire la pace all’interno delle nostre case, delle nostre famiglie, dei nostri condomini, delle nostre comunità parrocchiali. Il brano evangelico (Mt 18,12-20) e il messaggio del papa ci dicono cosa mettere nello zaino per non cedere all’ira ed essere sempre, invece, uomini e donne di pace. La pagina evangelica ascoltata ci dice cosa fare nei confronti di un fratello che sbaglia, che ci fa del male e nei confronti del quale è molto forte la tentazione di umiliarlo, di fargli del male. Viene invece proposto un percorso ispirato alla gradualità, alla discrezione e al rispetto. Se tuo fratello – ci ha detto Gesù – commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo. Il primo passo è quello di ammonire personalmente colui che ti ha fatto del male, senza l’imbarazzante coinvolgimento degli altri, senza sparlare di lui o sbandierare a tutti l’errore commesso. Ammonire non significa puntare il dito, significa invece ricordare. Correggere il fratello non significa accusarlo, ma aiutarlo a scoprire i suoi sbagli e aiutarlo ad evitarli. La correzione fraterna è una tensione amorosa, è un vegliare sull’altro per correggere i suoi errori. Uno sguardo amabile ci permette di non umiliare mai l’altro. Il primo strumento per costruire la pace – ci ricorda il papa nel messaggio della giornata mondiale della pace – è il dialogo. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento che stimolano e non umiliano, non disprezzano. Se tuo fratello sbaglia fai tu il primo passo, cercalo, dialoga, non chiuderti in un silenzio rancoroso. Di fronte all’errore altrui spesso ci si chiude in se stessi, si evita il dialogo e si favorisce la crescita di una violenza interiore che prima o poi diventa guerra, aggressività, che non serve a nulla. Chi ci ama ci sa rimproverare, chi non ci ama sa solo ferire. Noi distinguiamo molto bene chi ci rimprovera per umiliarci e chi ci rimprovera perché ci vuole bene. Lo capisce molto bene un figlio in casa, un alunno a scuola, ma anche un adulto. Dialogare – scrive ancora papa Francesco –, significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo vuol dire dissodare il terreno sterile del conflitto per coltivare i semi di una pace duratura e condivisa.
Se tuo fratello – aggiunge poi Gesù – non ti ascolta, il secondo passo da fare è quello di correggerlo alla presenza di due o tre testimoni e se neppure in questo caso vi ascolta, allora dillo alla comunità. Gesù ci dice di non desistere, di non demordere. E i testimoni servono, non per accusare, bensì per aiutare. L’insistenza sulla correzione che un percorso di pace è dettata dall’evitare che si possa cedere al rancore, all’odio, la correzione non è dunque solo per il bene del fratello che riceve correzione, ma anche per il bene di colui che la esercita. L’odio fa male, non ti consente di vivere in comunione, di camminare a testa alta, di andare avanti. Ti impedisce di guardare in faccia la persona che odi, di salutarla se la incontri per strada, ti rende cupo, ti fa vedere il male anche laddove non c’è. Ma la motivazione più profonda per costruire e vivere nella pace la ritroviamo nell’ultimo versetto del brano evangelico ascoltato: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Solo dove c’è pace c’è Dio, solo dove si fa comunità là Dio è presente. Dio è presente laddove c’è una comunità che, nonostante i limiti e gli errori, rimane unita. La pace ha la sua ragion d’essere nel fatto che possiamo fare esperienza di Dio solo se ci vogliamo bene, piccoli e grandi, giovani e adulti, laici e preti, favorendo quel dialogo intergenerazionale che, come sottolinea il Papa, consente di non irrigidirsi nelle proprie posizioni e di essere sempre fautori di pace. Vi auguro di cuore, carissimi amici, di essere, pertanto, artigiani di pace, ovunque voi andiate.