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Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
giubileo diocesano dei cori parrocchiali

Cari fratelli e sorelle, cari coristi, cari amici, dopo il nostro pellegrinaggio dalla chiesa di San Rocco, eccoci giunti nella casa madre della nostra Chiesa diocesana: la cattedrale di Avezzano. Oggi celebriamo con gioia il giubileo dei cori parrocchiali, un momento di grazia e di riconoscenza per il dono che ciascuno di voi, con la vostra voce e il vostro servizio, offre alla liturgia e alla vita della Chiesa. Grazie per essere qui. Siete giunti dai diversi paesi della diocesi. Ringrazio don Andrea e l’equipe della sezione musica sacra dell’ufficio liturgico diocesano per aver voluto e organizzato questo momento importante di vita diocesana.
Il nostro ritrovarci insieme si inserisce nel cammino del giubileo della speranza che stiamo vivendo come Chiesa universale. Siamo anche noi pellegrini di speranza, e lo siamo in modo speciale cantando, elevando la nostra voce a Dio con gratitudine, con fede, con bellezza.
Le letture della liturgia di questa ventottesima domenica ci introducono proprio nel cuore della nostra celebrazione: il ringraziamento.
Nella prima lettura, il generale Naamàn, guarito dalla lebbra, ritorna dal profeta Eliseo e offre doni in segno di riconoscenza. Non solo è guarito nel corpo, ma anche nello spirito: riconosce che non c'è altro Dio all'infuori del Signore di Israele. È un pagano che si converte, ed è la gratitudine il primo segno della sua fede.
Nel Vangelo di Luca solo uno dei dieci lebbrosi guariti – un samaritano, quindi un estraneo – torna indietro per ringraziare Gesù. Gesù nota la cosa con amarezza: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?». Quel samaritano, tornando a ringraziare, fa un passo ulteriore: da guarito diventa salvato. La gratitudine lo conduce a una relazione più profonda con Dio.
Anche per voi, cari coristi, il canto è un modo per dire grazie. Ogni vostra nota, ogni vostra armonia, ogni fatica condivisa nelle prove e nel servizio è un «grazie» offerto a Dio, un «grazie» che si fa preghiera, supplica, esultanza.
Siamo qui oggi per ringraziarvi, coristi delle nostre comunità parrocchiali, per il servizio liturgico che svolgete con passione e dedizione. Ma anche per ricordarvi, con affetto paterno, che il canto nella liturgia non è un ornamento, né uno spettacolo per pochi: è parte integrante della celebrazione.
Il concilio Vaticano II, nella Sacrosanctum concilium, ci ricorda che il canto sacro ha come scopo quello di coinvolgere l’assemblea, di elevare il cuore di tutti a Dio, di rendere la liturgia più viva e partecipata. Voi siete servitori del canto dell’assemblea, e non protagonisti. Ma proprio in questa discrezione si nasconde la vostra grandezza.
Siate sempre ponte, non schermo. Siate guida, non barriera. Siate cuori che cantano con il popolo di Dio, non sopra il popolo. Ricordatevi che la più bella armonia si realizza quando tutta l’assemblea canta, anche se con voci imperfette. Il vostro ruolo è aiutare questa sinfonia di fede e di speranza.
Il giubileo che stiamo vivendo ci invita a essere seminatori e pellegrini di speranza. Ma che cosa significa, concretamente, per voi?
Significa essere cori che aprono cammini, non che li chiudono. Cori che si mettono in cammino, che si lasciano formare, che si rinnovano. Significa non accontentarsi del «si è sempre fatto così», ma cercare la bellezza che viene dallo Spirito, la fedeltà alla liturgia della Chiesa, la comunione con il resto dell’assemblea.
Essere pellegrini di speranza, per voi, vuol dire anche portare il canto fuori dalle mura del coro: nelle case, nelle strade, nei momenti di festa, nei luoghi di dolore. Il canto sa consolare, sa unire, sa evangelizzare. Voi, con il vostro servizio, potete essere voce della speranza per chi ha smesso di cantare, per chi è scoraggiato, per chi non trova più parole di lode.
Nella seconda lettura, san Paolo ci invita: «Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti». Questo è il cuore di tutto: non cantiamo per noi, ma per lui. Non lodiamo per un gusto estetico, ma perché Cristo è risorto e ci ha salvati. Il nostro canto nasce dalla memoria viva della Pasqua.
E quando, come dice Paolo, siamo stanchi, afflitti, o persino infedeli, possiamo ricordare che lui rimane fedele. E questo ci basta per continuare a cantare. Anche nei giorni difficili, anche quando le assemblee sono stanche o le voci calano: la speranza ci spinge a non smettere di lodare Dio.
Cari fratelli e sorelle, cari cori parrocchiali, grazie per il vostro servizio, per il vostro impegno, per il vostro cuore. Continuate a camminare come pellegrini cantori di speranza.
Che la Vergine Maria, la Madre che ha cantato il Magnificat, vi accompagni sempre. E che il Signore vi dia voce, forza, gioia, perché possiate far cantare il popolo di Dio e accompagnarlo nella lode del suo nome. Amen.

 

 

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dal santuario della Madonna di Pietraquaria
per l'accoglienza delle Suore zelatrici del Sacro Cuore

Carissimi fratelli e sorelle, carissimo don Paolo, reverenda madre generale delle Suore zelatrici del Sacro Cuore, cari fedeli tutti, oggi è una giornata di grazia per il nostro santuario della Madonna di Pietraquaria, luogo amato, visitato e custodito nella fede da generazioni di fedeli della Marsica e non solo. In questo luogo santo, dove la presenza di Maria è conforto e guida, viviamo insieme un passaggio importante: accogliamo con gioia le Suore zelatrici del Sacro Cuore, che iniziano il loro servizio nella casa di accoglienza Domus Mariae, al servizio del pellegrino, della preghiera e della speranza.
Il vangelo di oggi (Lc 17,11-19) ci pone davanti alla scena dei dieci lebbrosi guariti da Gesù. Solo uno torna indietro per ringraziarlo. Solo uno, straniero, samaritano, riconosce che la guarigione ricevuta non è solo fisica, ma tocca il cuore, la fede, l'anima. Gesù si stupisce, e la sua domanda è diretta: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?». È una domanda che arriva anche a noi: abbiamo ancora un cuore capace di riconoscenza? Di tornare sui nostri passi per dire grazie a Dio, alle persone, alla vita?
E oggi noi vogliamo ringraziare Dio e vogliamo dire grazie alle Suore benedettine della carità, che per tanti anni hanno servito con dedizione questa casa, questa terra, i pellegrini, e lo hanno fatto con discrezione e spirito monastico, in ascolto della Parola e nel dono silenzioso di sé. Il loro ritiro, dovuto, come ben sappiamo, fondamentalmente alla carenza di vocazioni, non è un abbandono, ma una consegna. E oggi, nel nome del Signore, accogliamo questa consegna con fiducia.
Carissime Suore zelatrici del Sacro Cuore, benvenute e grazie per aver accolto questa chiamata. La vostra presenza qui è un segno di provvidenza da parte di Dio e della Madonna di Pietraquaria che non hanno voluto lasciare questo luogo senza la presenza preziosa delle suore. Ma è anche per voi segno di missione. La vostra spiritualità, radicata nel Sacro Cuore di Gesù, è profondamente legata al messaggio evangelico della compassione, della vicinanza, del servizio.
Voi venite da una lunga tradizione nata all'Aquila nel 1879, grazie all'opera di Maria Ferrari, una donna appassionata del vangelo e attenta ai bisogni del tempo. Il vostro istituto ha nel cuore gli ammalati, i giovani, i poveri, i bisognosi e tutti coloro che cercano Dio. E proprio perché vi siete lasciate ferire dal Cuore di Cristo, ora siete pronte a consolare, curare, educare, accogliere.
In questo santuario, accanto alla Madonna, sarete sentinelle della fede e della carità. Nella Domus Mariae, che riapre sotto la vostra guida, i pellegrini, le parrocchie, i gruppi, le persone stanche, ferite o in ricerca, potranno trovare un luogo di silenzio, ascolto, preghiera e accoglienza.
San Paolo, nella seconda lettura (2Tm 2,8-13), ci ricorda che anche nelle difficoltà e nella prova, «se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo». La vostra presenza qui è una testimonianza di perseveranza nella fede. È risposta concreta a un mondo che spesso ha fretta e si dimentica dell'altro. È il sì quotidiano al vangelo, vissuto nel servizio umile e fedele, come il vostro stesso nome suggerisce: zelatrici, cioè appassionate, instancabili nel cercare e nel donare l'amore del Cuore di Gesù.
Papa Francesco, nella sua ultima enciclica Dilexit nos, sulla spiritualità del Sacro Cuore scrive: «Il Cuore di Cristo è il centro pulsante della rivelazione dell'amore di Dio. Dall'alto della croce, egli ha aperto il suo cuore perché noi potessimo entrarvi e dimorarvi» (n. 12). E ancora: «Chi si lascia toccare dal Cuore trafitto di Cristo diventa capace di una nuova compassione, di una fraternità che sa farsi carico delle ferite dell'altro» (n. 24).
Carissime sorelle, con voi, anche il santuario riceve un cuore nuovo: un cuore che accoglie, prega, ascolta, serve. E siamo certi che, con la guida di don Paolo Ferrini, rettore attento e generoso, saprete inserirvi con discrezione e forza nella vita spirituale e pastorale di questo luogo santo.
Nella prima lettura (2Re 5,14-17), Naaman il Siro, pagano, guarisce dalla lebbra e torna riconoscente al profeta Eliseo, confessando: «Ora so che non c'è Dio su tutta la terra se non in Israele». È un altro esempio di gratitudine, che nasce da un'esperienza di salvezza.Così anche noi, oggi, vogliamo riconoscere la presenza di Dio in questa nuova pagina che si apre. In un tempo in cui tante comunità religiose chiudono, noi oggi, per grazia, vediamo una comunità religiosa che nasce nella nostra Chiesa dei Marsi. È un segno dei tempi, da accogliere con fede e custodire con cura.
Alla Madonna di Pietraquaria, a lei che da secoli veglia su Avezzano e la Marsica, affidiamo il vostro cammino, care sorelle zelatrici, il vostro servizio, la vostra vita comunitaria. A lei chiediamo che questo luogo continui ad essere casa di misericordia, scuola di preghiera, rifugio per chi cerca Dio. E a voi tutti, fratelli e sorelle, chiedo: sostenete questa nuova presenza con la preghiera, con la vicinanza, con la collaborazione. Il popolo marsicano ama la Madonna di Pietraquaria e vuole bene a tutte le religiose: sono certo pertanto che non farete mancare il vostro sostegno. Grazie, Suore benedettine, per quello che siete state. Grazie, Suore zelatrici, per quello che siete. Grazie, Madonna di Pietraquaria per la tua premura di madre. Grazie Signore, per quello che fai in mezzo a noi. Amen.

 

 

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
festa della Madonna di Pietraquaria

Un cordiale saluto al Sindaco di Avezzano, alle autorità civili e militari, ai sacerdoti, diaconi e a voi carissimi fedeli della Chiesa di Avezzano e della Marsica tutta.
Oggi la nostra città si raccoglie attorno alla sua Madre e Patrona, la Madonna di Pietraquaria, in una festa che unisce la memoria, la fede e il futuro. Ed è provvidenziale che quest'anno la nostra festa patronale cada proprio nella domenica della Divina Misericordia, istituita da san Giovanni Paolo II per tutta la Chiesa. Due cuori si uniscono oggi: il cuore misericordioso di Cristo risorto e il cuore materno di Maria, che da secoli veglia sul nostro popolo.
La pagina evangelica ci presenta due apparizioni di Cristo risorto ai discepoli. Entrambe avvengono «il primo giorno della settimana», cioè la domenica. La domenica è il giorno della risurrezione del Signore, ma è anche il giorno in cui la comunità dei credenti si riunisce per sperimentare la presenza del Signore in mezzo a noi. Quanto è importante la Celebrazione Eucaristica domenicale. È nella Messa domenicale che facciamo esperienza di Cristo risorto presente in mezzo a noi. Ogni domenica per noi cristiani è Pasqua. Non è pertanto possibile fare a meno della santa Messa. Non è un optional per noi credenti. Pensate, i martiri di Abitene nel primo secolo, posti dinanzi alla scelta di celebrare l'eucaristia andando incontro al martirio o di vedere salva la propria vita rinunciando ad essa, non esitarono a scegliere il martirio, dicendo che senza domenica noi non possiamo vivere. Cadendo questa festa di domenica, sembra che la Madonna voglia richiamarci, in primo luogo, a vivere la domenica come giorno del Signore, dell'incontro con lui.
Ebbene, il primo giorno della settimana i discepoli erano riuniti nel cenacolo segnati dalla paura. Temevano di fare la stessa fine di Gesù, ma soprattutto facevano fatica a credere nella risurrezione. Quanto è difficile lasciare la tomba delle nostre paure. Ma è pur vero che i discepoli fanno la scelta più giusta quale è quella di rimanere uniti. È importante nel dolore restare uniti. In ogni comunità civile, parrocchiale o familiare non mancano le sofferenze, i problemi, le paure. Ma quando si rimane uniti diventa più facile affrontare qualsiasi situazione. Quando invece subentra la divisione, le difficoltà diventano insuperabili.
I discepoli superano però ogni tristezza solo nel momento in cui appare Gesù che non li rimprovera di averlo abbandonato nel momento della passione bensì mostra loro le mani e il fianco che sono i segni della sua passione e della sua misericordia senza limiti. «E i discepoli gioirono a vedere il Signore». È l'incontro con la misericordia di Cristo ad allontanare definitivamente ogni paura e tristezza e a far rifiorire la speranza. Il giubileo che stiamo vivendo è finalizzato, secondo le intenzioni del compianto e tanto amato papa Francesco, a rianimare la speranza. Ma questo è possibile solo a partire dall'incontro con Cristo vivo in mezzo a noi.
Maria è la Madre della misericordia perché è colei che ci mostra il volto tenero e misericordioso di Cristo. A Pietraquaria, su quel colle silenzioso che guarda la piana del Fucino, la Vergine ha scelto di manifestare la sua presenza nei momenti più difficili della nostra storia: dalla carestia alla peste, dalla guerra al terremoto. Ogni volta che la nostra terra ha tremato, il popolo si è rivolto a lei, e lei non ha mai fatto mancare il suo sguardo. Questo sguardo è misericordia concreta: è attenzione, è cura, è protezione.
Maria ci insegna che la misericordia non è un'idea, ma è uno stile di vita, un modo di essere cristiani. Ecco perché oggi, davanti a lei, siamo chiamati non solo a ricevere misericordia, ma anche a diventare testimoni di misericordia nel cuore della nostra città.
In questa festa che unisce il cielo alla terra, permettetemi di rivolgermi con affetto a tutta la nostra amata comunità civile. La Madonna di Pietraquaria non è solo la patrona di una Chiesa, ma è Madre di un popolo, di una città, di una terra.
La sua presenza ci ricorda che ogni cittadino è chiamato a essere costruttore di fraternità e di speranza. Oggi, davanti a lei, sentiamo che ci sono impegni che scaturiscono dalla fede, ma che si traducono in scelte civili:

  • l'impegno per la giustizia sociale, affinché nessuno sia dimenticato, soprattutto i poveri, gli anziani, i giovani senza lavoro;
  • l'impegno per la cura del bene comune, che significa amare la città, rispettare la legalità, difendere il creato che ci è stato affidato;
  • l'impegno per la pace sociale, per superare le divisioni, le polemiche sterili, e riscoprire la bellezza del dialogo e della collaborazione.

Qualche giorno fa, con il segretario della Conferenza episcopale italiana e altri nove vescovi, provenienti da diocesi di tutta l'Italia, ho incontrato il presidente Mattarella per discutere delle aree interne. Noi vescovi abbiamo detto che esse costituiscono una risorsa per il patrimonio che custodiscono dal punto di vista ambientale, artistico e religioso, ma non possiamo nascondere i problemi che le caratterizzano: spopolamento, assenza di servizi, primo fra tutti quello di una efficace assistenza sanitaria, mancanza di lavoro, una viabilità molto carente. È stato sottolineato che a noi pastori le aree interne stanno particolarmente a cuore ma il problema è soprattutto politico, in quanto sembra che le aree interne non interessino a nessuno, perché non costituiscono un rilevante bacino di voti, e la distribuzione delle risorse pubbliche non può avvenire secondo la logica dei numeri, perché inevitabilmente le aree interne verrebbero sempre penalizzate.
Ho avuto modo di raccontare il bel cammino che da qualche anno stiamo facendo in diocesi, favorendo un lavoro sinergico tra comunità civile e comunità ecclesiale, e poi tra gli stessi amministratori della Marsica aiutandoli a superare la logica del tifo da stadio e di un rigido campanilismo. Solo così lavorando insieme e per il bene di tutti è possibile costruire la speranza nonché un futuro migliore per il nostro territorio e per i nostri cittadini. La città di Avezzano è chiamata a favorire un lavoro sinergico tra i comuni della Marsica, ad unire e mai a dividere.
E Maria ci insegna a guardare avanti e a guardare lontano, a non cedere al pessimismo, ma a tenere viva quella speranza che nasce dalla fede e si traduce in azioni concrete per il bene di tutti.
Cari amici, oggi non siamo venuti solo a onorare la Madonna, ma a impegnarci con lei. Che questa festa patronale non sia solo una tradizione che si ripete, ma diventi una chiamata a rinnovare il nostro essere cristiani e cittadini. La città di Avezzano è chiamata a favorire un lavoro sinergico tra i comuni della Marsica, ad unire e mai a dividere.
Affidiamo a Maria il cammino della nostra Chiesa e della nostra città: le famiglie, i bambini, i giovani, gli ammalati, i lavoratori, chi è scoraggiato e chi cerca un senso. Maria di Pietraquaria ci accompagni con la sua dolcezza e ci insegni a vivere di quella misericordia che cambia i cuori e trasforma le città.
Che Avezzano sia una città chiamata a sperare, sempre tenace, che è la caratteristica principale di ogni marsicano e sia la città della misericordia, una città dal cuore aperto, una città in cui nessuno si senta escluso.
È stata portato in processione in questo anno giubilare il quadro della Madonna di Pietraquaria. Come ben sapete, questo quadro è stato portato in processione per la prima volta nel 1779, un anno segnato dalla siccità. I fedeli vollero portarlo in processione per invocare il dono della pioggia. La Madonna ascoltò le preghiere dei suoi figli e in poco tempo il cielo si coprì di nubi e una pioggia abbondante irrigò i campi del Fucino. Chiediamo alla Madonna che faccia piovere sulla nostra città di Avezzano e sull'intera Marsica una pioggia di misericordia che irrighi i cuori di tutti spesso aridi di amore verso Dio e i fratelli.
Amen.

 

Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla basilica di San Pietro in Vaticano
per il pellegrinaggio giubilare diocesano

Cari fratelli e sorelle della nostra amata diocesi dei Marsi, pellegrini della speranza,
ci troviamo oggi nella basilica di San Pietro, cuore pulsante della cristianità, dopo aver varcato insieme la porta santa, gesto semplice ma carico di significato, segno della grazia che ci precede e ci accompagna. Qui, in questo luogo santo, celebriamo il nostro pellegrinaggio giubilare, un cammino di popolo, di Chiesa, un tempo di grazia che rinnova la nostra fede e ravviva in noi la speranza, dono che viene da Dio e non delude.
Desidero esprimere un sentito grazie a tutti voi, carissimi fedeli della Chiesa dei Marsi, che avete scelto di partecipare a questo pellegrinaggio. Siamo in tanti e non mi aspettavo una partecipazione così numerosa. Il vostro «sì» è un segno forte e concreto di fede, di amore per la Chiesa e di desiderio di camminare insieme verso il Signore. So che molti di voi, essendo questo un giorno feriale, hanno dovuto chiedere un permesso dal lavoro, riorganizzare la famiglia o affrontare qualche sacrificio: il vostro impegno è per me motivo di gioia e gratitudine. La vostra partecipazione è già un segno di speranza. È un segno di speranza vedere una comunità che risponde, che si mette in cammino, che non ha paura di perdere tempo per Dio. Con voi ringrazio in modo particolare i sacerdoti e i diaconi che non solo hanno sollecitato la vostra partecipazione ma vi hanno accompagnato in questo pellegrinaggio.
Abbiamo ascoltato la parola del Signore, luce ai nostri passi. San Paolo, nella Lettera ai Colossesi, ci offre una preghiera intensa e appassionata per quella giovane comunità cristiana: «Da quando abbiamo avuto notizia della vostra fede, non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate piena conoscenza della sua volontà».
Anche noi, come comunità diocesana, sentiamo su di noi questa preghiera: è la Chiesa che ci accompagna, è Cristo che intercede per noi, è lo Spirito Santo che ci guida. San Paolo chiede poi per i Colossesi – e oggi anche per noi – la piena conoscenza della volontà di Dio, perché possiamo camminare in maniera degna, portando frutti di bene e crescendo nella fede. Ecco il senso del nostro pellegrinaggio: crescere nella fede.
Non siamo venuti a Roma per un semplice atto devozionale, ma per ritrovare nel cuore l'essenziale: la bellezza della chiamata ricevuta nel battesimo, la forza del vangelo che ci guida, la speranza che ci fa guardare al futuro con fiducia. Nel Vangelo di Luca, abbiamo incontrato Pietro e i suoi compagni, delusi dopo una notte infruttuosa di lavoro. Anche noi, talvolta, ci sentiamo così: abbiamo faticato tanto, ci siamo impegnati, ma non vediamo i frutti. Eppure, su quella riva del lago, accade qualcosa di nuovo: Gesù sale sulla barca, prende la parola, cambia la prospettiva. E poi dice: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca».
È facile avere fede quando hai tutto in mano. La vera sfida è provare a fidarsi del Signore quando non ti ritrovi nulla tra le mani, dopo una notte di intenso lavoro, quando non si tengono più le redini, quando non si ha più nulla. Questa è la fede. «Prendere il largo», è un invito che oggi risuona per ciascuno di noi. Non rimanere sulla riva delle paure o delle delusioni, ma affidarci al Signore, anche quando ci sembra di aver già dato tutto o di aver perso tutto. Pietro risponde con fiducia: «Maestro, sulla tua parola getterò le reti». E la pesca fu abbondante.
Carissimi, sulla parola del Signore anche noi vogliamo gettare le reti, con coraggio, con rinnovato slancio. Questo è il cuore del giubileo della speranza: non un evento da celebrare, ma una vita da cambiare, una fede da ravvivare, una comunità da ricostruire nella fiducia nel Dio della vita. Il problema della Chiesa oggi non sono i numeri, non sono le statistiche, non è una questione di organizzazione o del fatto che dobbiamo inventarci qualche altro modo per annunciare il vangelo; non è questione di performance. Il problema della Chiesa è un problema di fede.
La domanda vera non riguarda le statistiche, ma il capire se abbiamo ancora fede. L'unica grande domanda che tutti dobbiamo porci è questa: abbiamo ancora fede? Se abbiamo fede tutto riparte; se non abbiamo fede, possiamo anche riorganizzarci, compiere tutte le analisi possibili, ma non usciremo dalla crisi. Questo non significa dire cose giuste su Dio, ma credere che Dio può tutto, perché è amore capace di compiere l'impossibile. Dobbiamo capire se al posto della fede e di Dio abbiamo messo qualcos'altro, se confidiamo troppo in noi stessi. Tante volte, Gesù è solo il grande pretesto per fare altro. Non è più il centro della vita ecclesiale e della nostra vita. L'unica cosa che conta è la fede.
E oggi più di ieri ci viene chiesto di vivere la nostra fede con coerenza ogni giorno, di non avere paura di fare scelte controcorrente che non fanno notizia ma costruiscono il regno di Dio. È la scelta di chi tra mille impegni ritrova in primo luogo il tempo per stare con Dio e ascoltare la sua parola. È la scelta di chi in famiglia non risponde con rabbia, ma con pazienza. È la scelta di chi, sul lavoro, non scende a compromessi con l'ingiustizia o la corruzione, anche a costo di essere isolato. È la scelta di chi, nel lavoro o tra gli amici, non si vergogna della propria fede, ma la testimonia con rispetto e convinzione. È la scelta di chi perdona quando sarebbe più facile chiudere il cuore. È la scelta di chi serve in silenzio, senza cercare applausi. Questo è il nostro compito: rimanere cristiani oggi quando è più comodo non esserlo, essere fedeli al vangelo quando la mentalità comune ci spinge altrove. Non si tratta di eroismi straordinari, ma di una fede vissuta con perseveranza, giorno dopo giorno. In questo, ciascuno di noi è chiamato ad essere un pellegrino della carità, della giustizia, della verità, della speranza.
In questi mesi abbiamo vissuto diversi giubilei diocesani: con i religiosi, che testimoniano la bellezza della consacrazione; con gli ammalati, che portano nel corpo le ferite del Crocifisso e la forza della risurrezione; con gli sportivi, con i ragazzi, con gli amministratori… ognuno ha portato la sua storia, il suo volto, le sue attese. In ognuno di questi incontri, ho visto segni di speranza.
Nella mia lettera pastorale, consegnata lo scorso ottobre alla comunità diocesana, ho indicato alcuni segni di speranza da vivere per la nostra Chiesa: essere vicini alle ferite di tante famiglie, fare delle nostre comunità luoghi in cui si sperimenta la comunione e l'unione con Dio e tra noi, trasmettere con entusiasmo, soprattutto alle nuove generazioni, la bellezza del vangelo e soprattutto fare esperienza della misericordia di Dio.
Questo pellegrinaggio è parte di quel cammino che insieme abbiamo intrapreso e che ci sta aiutando a riscoprire il volto di un Dio che ci ama. E come Pietro, anche noi, dinanzi all'amore di Dio siamo tentati di dire: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Ma il Signore ci risponde con parole che non dimenticheremo mai: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini».
Cari fratelli e sorelle, ripartiamo da qui, da questa basilica, con una fede rinnovata, con una speranza più salda, con una carità più operosa. Mi auguro che possiamo tutti tornare a casa con il cuore rinnovato, con uno sguardo nuovo sulla vita e sulla fede; che possiamo sentirci inviati a portare speranza nei nostri ambienti quotidiani. Perché il giubileo non finisce a Roma: continua nelle nostre parrocchie, nelle famiglie, nel lavoro, in ogni relazione. Se torneremo più capaci di perdonare, di servire, di amare, allora il nostro pellegrinaggio avrà davvero portato frutto.
Con Maria, Madre della speranza, affidiamo pertanto a Dio il nostro cammino. E insieme, come Chiesa dei Marsi, diciamo ancora una volta: «Sulla tua parola, Signore, getteremo le reti».
Amen.

 

 

 

 

Messaggio di S.E. Mons. Giovanni Massaro
in occasione della festa
della Madonna di Pietraquaria

La festa della Madonna di Pietraquaria è la ricorrenza religiosa più sentita non solo ad Avezzano bensì in tutta la Marsica. Alla Madonna del monte Salviano, dove sorge il santuario, sono soliti rivolgersi tutti i marsicani per salutare la Vergine Maria e consegnarle i propri smarrimenti e silenzi. La devozione verso la Madonna si è intensificata quando nel 1978 è divenuta la patrona di Avezzano.
Da allora la sua festa si celebra il 27 aprile, un fatto miracoloso avvenuto nel 1779, anno ricordato per la sua siccità, che vide protagonista l'effige della Vergine Maria. Quel giorno l'immagine sacra venne portata per la prima volta in processione lungo le strade di Avezzano al fine di invocare la grazia della Madonna. Le preghiere furono accolte perché nel giro di poche ore il cielo si riempì di nuvole e un'abbondante pioggia irrigò i campi. Da quel momento la Madonna di Pietraquaria non ha smesso di elargire le sue grazie a favore del popolo marsicano.
È lei che ha cacciato briganti e francesi, arretrato le minacciose acque fucensi, spento le fiamme del colera. Sappiamo di poter trovare sempre rifugio e accoglienza tra le sue braccia amorevoli. È lei la fonte di vita e di luce. È madre della luce perché da lei è nato Cristo, luce del mondo. È Cristo che si presenta come la luce: «Io sono venuto nel mondo come luce perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Gv 12,44).
Maria, la nostra Madre, è come una stella nella notte: guida, illumina, consola. Nella sua dolcezza materna si riflette la luce di Cristo, che attraversa le tenebre del cuore e apre sentieri di speranza. Chi si affida a lei non cammina mai solo, perché nel suo sguardo brilla la luce dell'amore eterno.
Ma non dobbiamo dimenticare che anche noi, discepoli di Gesù, siamo chiamati ad essere luce per gli altri. Egli stesso ce lo chiede: «Voi siete la luce del mondo. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,14-16). Essere cristiani luminosi significa avere mani operose e sguardi che, posandosi sulle persone, fanno emergere tutto ciò che di bello vi è in ogni essere umano, cioè la bellezza dei cuori, delle relazioni, dell'amore. In un mondo che mostra segni di tenebre, lei, nostra Madre, ci insegna e ci aiuta ad essere portatori di luce.
Secondo la tradizione Avezzano ha attirato su di sé l'attenzione della Madonna proprio attraverso la luce. Si racconta infatti che era sorta una discussione tra gli avezzanesi e gli abitanti di Cese su chi meritasse la protezione la sua protezione. Non trovando soluzione si decise di posizionare l'effige della Madonna con lo sguardo girato verso sud affinché fosse lei a scegliere su chi volgere lo sguardo. Gli avezzanesi accesero dei grandi fuochi in tutta la città, attirando così l'attenzione della Madonna che si voltò incuriosita a guardare le mille luci che illuminavano la città e ne divenne pertanto la protettrice.
Essere città di luce, valorizzando il grande patrimonio culturale, artistico, umano e religioso che possiede: ecco la vocazione di Avezzano e di coloro che la abitano. Ed è la capacità di consentire a tutti di vivere una vita dignitosa che rende luminosa una città. Non manchino allora politiche sociali in grado di creare lavoro soprattutto per le nuove generazioni evitando la fuga verso le città metropolitane del nord, non manchino progetti a sostegno dei poveri e cure mediche per tutti. Importante rafforzare un pensiero educativo nonché la coesione educativa e presidi educativi con il coinvolgimento degli adulti per aiutare ragazzi e giovani a crescere ed evitare che trovino facile rifugio nella droga e nell'alcol. Avezzano sia terra di luce favorendo la sinergia tra i paesi della Marsica superando uno sterile campanilismo che ostacola azioni a beneficio di tutti.

 

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