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Omelia di S.E. Mons. Pietro Santoro
dalla cattedrale dei Marsi in Avezzano

Con le parole dell’apostolo Paolo riconsegniamo la nostra fede a Gesù, Signore e re dell’universo, «per mezzo del quale noi abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati… Immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose, nei cieli e sulla terra… Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono… Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è il principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose». Si consuma oggi il tempo dell’anno della fede e si apre, si riapre il tempo mai consumato dell’annuncio della fede, il tempo della missione, della trasmissione della fede. Un tempo affidato alla Chiesa e ad ogni battezzato, ognuno nella sua collocazione. E non a caso il santo padre, nella celebrazione in piazza San Pietro, questa mattina, ha scelto di offrire la sua esortazione Evangelii gaudium a un vescovo, a un presbitero, a un diacono, a religiose e religiosi e a laici. «Io, tu, noi, insieme» per essere portatori del Vangelo, per dirci e ridire che «la fede cristiana non è soltanto una dottrina, un insieme di regole morali, una tradizione. La fede cristiana è un incontro, una relazione con Gesù Cristo. Trasmettere la fede significa creare in ogni luogo e in ogni tempo le condizioni perché questo incontro tra gli uomini e Gesù Cristo avvenga. L’obiettivo di ogni evangelizzazione è la realizzazione di quest’incontro, allo stesso tempo intimo, personale, pubblico e comunitario» (Instrumentum laboris della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi).
Benedetto XVI, indicendo l’anno della fede, aveva ribadito con chiarezza il fondamento della fede stessa: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Lettera enciclica Deus caritas est). Su questo fondamento dobbiamo vivere, dobbiamo operare, dobbiamo costruire. Non su altro. E ripeto, anche secondo la metafora celebrativa del papa, questa mattina, «ognuno nella sua collocazione».
Io, vescovo, innanzitutto, chiamato da Dio e dagli uomini ad essere visto e giudicato sulla mia assunzione o non assunzione degli occhi stessi di Gesù. È vero quanto scrive un profondo e appassionato storico contemporaneo della Chiesa: «Uno scatto di fede visibile evita al vescovo di essere vissuto e di diventare un burocrate…». E aggiunge: «Vescovi più poveri, rispettosi, autorevoli e liberi, perché ciò che è indispensabile è un vescovo capace di esprimere la bastevolezza e la prevalenza della fede. La fede dei vescovi è la via aperta oggi ai credenti per non imprigionarsi nel triste sacco propinato dalla realtà e di cui i media sono il ventilatore: è il solo magistero che non si fa con i piani pastorali, ma con la fedeltà della vita».
Io, presbitero, che ogni giorno devo rinnovare la gioia della decisione di appartenere a Cristo, non sognando situazioni ideali di ministero, ma lieto di amare questa cara nostra terra marsicana, per essere padre e fratello laddove la Chiesa mi ha messo e superando continuamente quelle che un mio confratello ha definito le tre tentazioni: «la tentazione dello scoraggiamento per un ministero circondato da tante fatiche e da tante pretese; la tentazione dello scontento, della mormorazione; la tentazione di ritenere legittimo cercare delle consolazioni compensative».
Io, diacono, sempre in feconda tensione per non parcellizzare, ma rendere simbiotica vita ecclesiale, vita familiare e vita pubblica nell’unica scelta di essere il segno del Cristo che serve e serve con la Parola e con la luce che la Parola ha illuminato il proprio cuore.
Io, religioso; io, religiosa, testimone e continuamente testimone dell’incontro con Cristo che ha capovolto la mia esistenza, rendendola il segno di Gesù obbediente, povero e casto.
Io, laico, invitato a rimettere al centro il primato di Dio in Cristo, perché so che non devo mai presupporre la fede come un fatto scontato. E so che questo dono di Dio deve essere nutrito e rafforzato affinché continui a guidare il mio cammino. E la fede si nutre e si rafforza quando viene comunicata e non c’è nessuno spazio neutro in questa trasmissione. Dalla famiglia alla società civile perché «la fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma è – vedi Lumen fidei – la dilatazione della vita».
La fede che apre alla speranza, anche nei momenti del dolore e, in questa dimensione, desidero benedire l’associazione Genitori di stelle, che accompagna i genitori dei figli morti in tenera e giovane età. Bertold Brecht diceva: «Non sono i discorsi a far girare i mulini della storia». È vero, ma è altrettanto vero che dobbiamo tutti ritornare all’origine delle parole, liberando le parole da muffa e da polvere per farle impattare con l’oggi dei nostri percorsi. E allora permettetemi, anche se quello che dirò può sembrare settoriale, di entrare in alcuni nodi che siamo chiamati a sciogliere, per farci diventare filiera di Vangelo vissuto. Ridico innanzitutto con la Lumen fidei che «la fede non è soltanto guardare Gesù, ma guardare dallo stesso punto di vista di Gesù, con i suoi occhi. È una partecipazione al modo di vedere di Gesù». Ne siamo convinti? Ci educhiamo ed educhiamo a questi occhi? Non sono domande retoriche. Lasciatemi dire con franchezza: è scandaloso sentire e ascoltare cristiani che parlano degli immigrati e della complessità dei problemi legati all’immigrazione con un vocabolario non intinto nel Vangelo, ma intinto nei luoghi comuni del pregiudizio e della sottocultura del politicamente scorretto. Cristiani che magari dicono: «Ma quanto ci piace papa Francesco…» e poi non entrano nei gesti e nelle parole di papa Francesco che ricosse nei poveri la ricchezza della Chiesa.
E ancora, lasciatemi dire con altrettanta franchezza che ci sono paesi, nella nostra amata diocesi, dove si spendono cifre astronomiche per le feste dei santi. Cifre incredibili, ma non si pensa neanche a ritagliare una parte di quel denaro per entrare nelle case dove si piange per precarietà economica, per mancanza di lavoro, per disagi esistenziali. Se non c’è educazione alla carità, se non c’è il coinvolgimento del territorio, paese per paese, parrocchia per parrocchia, attraverso una Caritas propositiva, localizzata dentro le comunità, appassionata, c’è solo il freddo di una fede ridotta a ritualismo senz’anima. Nella mia prima e volutamente unica lettera pastorale dicevo che «la parrocchia è la casa del pane, dove si mangia il pane eucaristico e da dove si parte per portare il pane nei luoghi della fame». E allora spero di non essere equivocato, in quello che sto per dire: «Nella mia chiesa, nei miei locali piove… C’è da rifare il tetto, c’è da rifare il pavimento… C’è da rifare…». È giusto, la casa del Signore deve essere accogliente e la diocesi farà, ha sempre fatto e fa la sua parte. Ma quel povero non è anche la casa del Signore? Quella famiglia che non ce la fa, non è anche la casa del Signore? E allora, si crei un fondo povertà nelle comunità, alimentato da chi ha, e ci sono quelli che hanno. Ho proposto, durante l’anno della fede, «una famiglia adotti un’altra famiglia». Era una proposta concreta, io l’ho fatta. Ma quanti si sono coinvolti? Quanti desiderano ancora coinvolgersi? Anche nella fede i sono i tempi di recupero, come nelle partite di calcio.
Ci affidiamo a vicenda questo cammino, confidando in uno scatto di traduzione evangelica della fede. Così come vi riaffido la proposta che già vi comunicavo all’inizio dell’anno pastorale: le missioni popolari, missioni popolari parrocchiali, interparrocchiali, foraniali. Missioni popolari nel segno di un riannuncio di Cristo, che tocchi le famiglie, i giovani, le nuove generazioni, il nostro popolo, affinché il popolo di Dio superi stanchezze e nella fede ritrovi il senso del vivere, il senso profondo ed essenziale.
Lasciatemi dire anche qualche confidenza. Sempre ringraziando il Signore per le ricchezze spirituali della nostra diocesi, una bella diocesi che dobbiamo amare e far crescere insieme, vi confido una delusione: quella di non aver realizzato durante l’anno della fede gli esercizi spirituali per sacerdoti e laici in Terrasanta. Perché non si è fatto? Perché, a mio parere, non è stato sufficientemente trasmesso. E magari è affogato nel mare delle tante pur lodevoli iniziative spirituali personali o iniziative di viaggi vari nelle varie espressioni della Chiesa locale. Mentre, invece, ringrazio il Signore per aver vissuto con sacerdoti e laici la gioia del pellegrinaggio alla tomba di don Tonino Bello. Gli esercizi spirituali per sacerdoti e laici, in Terrasanta, saranno riproposti, a Dio piacendo, nel corso del 2014.
Ma ora, si entri nella mobilitazione per la visita che faremo, come diocesi, a papa Francesco, partecipando all’udienza del 26 febbraio prossimo, celebrando tutti insieme l’Eucaristia nel pomeriggio. Daremo più avanti tutte le indicazioni a riguardo, ma sin da ora parta il coinvolgimento di tutta la Chiesa locale. Al termine di questa celebrazione vi verrà consegnato un pieghevole, elaborato dal Consiglio pastorale diocesano e dalla Consulta delle aggregazioni laicali, che contiene tutti gli appuntamenti diocesani per questo anno pastorale 2013/2014. Nei prossimi giorni, i pieghevoli saranno a disposizione anche nelle parrocchie. Tra le proposte più immediate incluse c’è anche la prima delle conferenze d’Avvento che terrò dopo domani, martedì 26 novembre alle ore 21, al castello Orsini, dal titolo Con papa Francesco, verso l’Avvento, una riflessione da parte del vescovo per cercare di capire dal profondo papa Francesco. L’altra conferenza, in pieno Avvento, il 13 dicembre.
In conclusione, lasciamoci avvolgere dalla primavera del pontificato di papa Francesco, non rimanendo nell’autunno e nell’inverno dei nostri mondani scontenti. Faccio mia una riflessione dello stesso autore che ho citato precedentemente: «Le primavere della Chiesa arrivano sempre senza segni premonitori… Una primavera che per qualcuno è già arrivato della fine del mondo, o forse, della fine di un mondo che se sarà sfidato non si arrenderà, se sarà sconfitto non sarà mai rimpianto». Amen.

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