Omelia di S.E. Mons. Pietro Santoro
dalla chiesa di San Giovanni Battista in Luco dei Marsi

«Fammi conoscere Signore le tue vie, insegnami i tuoi sentieri». L’invocazione del salmo ha sempre accompagnato e accompagna le strade di quanti non attraversano la vita come vuoti a perdere ma si interrogano e cercano di entrare dentro il sogno che Dio ha pensato per loro.
Caro Umberto, rileggendo quanto mi hai scritto nella lettera di richiesta al diaconato e conoscendo i percorsi della tua ricerca vocazionale, posso affermare che il tuo è stato intensamente un cammino interiore di interrogazione, di ricerca di una casa dove scrivere la tua storia. Non a caso uso parole come storia e casa perché sono tue parole. Come queste: «Dio si è ricordato di me – hai scritto – e ha trovato modo per parlare al mio cuore. E davanti al Crocifisso, ricevendo la grazia di comprendere la mia chiamata vocazionale, ho capito che questa chiamata è servire la Chiesa nel sacerdozio».
E il tuo prossimo servizio diaconale tu lo guardi, con profondità di sguardo, come scelta, di «imitare nostro Signore povero, umile e casto e portando a tutti il lieto annuncio del vangelo nella convinzione che il luogo privilegiato dove esercitare il mistero del diaconato è tra gli ultimi e i poveri». Quando si viene assunti dallo Spirito in un ministero ecclesiale e sacramentale accade che si intrecci la propria storia personale con la storia di Giona: «Alzati, va’ a Ninive e annuncia loro quanto ti dico» e con la storia che si allarga lungo il mare di Galilea. Gesù incrocia gli occhi di Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» e subito lasciarono le reti, il padre i garzoni e andarono dietro a lui. Tante storie ma un’unica storia che riaccade.
Umberto, questa sera lasciati di nuovo invadere e avvolgere dagli occhi di Cristo, lasciati avvolgere dal desiderio della missione. Alzati e va’! Annuncia! I tuoi passi seguano i passi di Cristo e il tuo cuore batta con il cuore di Cristo. Ora ti chiedo, e chiedo a tutti, di leggere la realtà, anche se ogni lettura è sempre parziale, è sempre riduttiva e non copre mai i misteriosi sentieri segreti dell’anima. In tutto l’occidente nella trasmissione della fede ci si affida sempre di più ad una religiosità fai da te. Si ricorre alla Chiesa soltanto nei momenti clou dell’esistenza: il bisogno religioso è avvertito più come un sentimento che come un’esperienza, la pratica religiosa è diminuita.
Il dramma della pandemia ha evidenziato quanto già da tempo si stava rimodulando nelle nostre comunità, anche se le nostre comunità restano ancora sociologicamente cattoliche. La pandemia ha svuotato le chiese, è un dato di fatto, ma ha fatto emergere quello che già gradualmente stava accadendo. E così oggi la parola missione, una parola straordinaria esce dalla retorica delle semplici citazioni estetiche o da strategie di marketing pastorale e deve prendere altri orizzonti. Orizzonti affidati alla passione di chi è chiamato e ha scelto di evangelizzare. Si incarna, deve incarnarsi, in credenti che fanno passare Dio attraverso la loro vita, le loro scelte, in credenti che diventano santi della porta accanto. Santi, narrazioni viventi del vangelo.
Un non credente inquieto ha scritto recentemente in maniera provocatoria: «Ma dove si è nascosto Dio? Ormai non lo trovi più in giro, non lo trovi nella vita della gente, non lo trovi nel pensiero. La scomparsa di Dio ci lascia al buio con il cerino in mano. La scomparsa di Dio ha fatto proliferare una miriade di supplenti e di surrogati. La libertà assoluta dell’io al posto di Dio». Alla domanda «Dove si è nascosto Dio?», domanda provocatoria, c’è la risposta. E la riposta deve essere: «Ecco, Dio cammina con quel credente che si dice cristiano, cammina con lui perché ha scelto di appartenere a Cristo e lo rende presente con la vita che fa la differenza, fa la differenza nella società e fa la differenza nella Chiesa». E così, la dimensione della missione oggi, per te diacono e domani per te sacerdote, è sempre di più un viaggio lungo la strada. È il tuo cuore innamorato di Cristo che deve accendere luci di speranza lungo le strade sempre più prive di segnaletiche di verità. Il diacono, il sacerdote è nella sua essenzialità il servitore della missione della Chiesa non un viaggiatore solitario.
E così mi è caro offrire a te e a tutti il senso dinamico, quasi profondo, della missione oggi, affidandomi non a una pagina teologica ma ad una pagina letteraria, ad un piccolo intenso libro di uno scrittore scandinavo. Il titolo è Il pastore d’Islanda. È la storia di un contadino, Benedikt, che nel cuore dell’inverno si mette in viaggio, lascia i suoi ripari e va verso la montagna. Per fare cosa? Per trovare le pecore disperse durante l’autunno. Ed è scritto: «Ma dovevano morire di freddo e di fame solo perché nessuno aveva la voglia e il coraggio di cercarle e di riportarle a casa, ma erano per sempre esseri viventi e Benedict aveva una specie di responsabilità nei loro riguardi». Desidero riavvolgere questa pagina per te dandovi e dandoti tre brevi consegne.
La prima. Annuncia la parola di Dio nella sua radicalità, nella sua bellezza di gioia e di speranza, non annunciare mai la parola di Dio al ribasso, abbassando l’asticella. E sempre incarnata nelle sofferenze e nelle attese della gente. Una parola sempre per il popolo e in mezzo al popolo. Sappiamo tutti che molti libri biblici sono stati scritti per ispirazione di Dio nel tempo di Babilonia, quando il popolo aveva perso i suoi codici e in questa chiave ha ripensato la sua storia e il suo destino.
Seconda consegna. Non lasciare che nessuno spenga in te l’amore a Cristo, a Cristo stampato nella storia delle donne e degli uomini del nostro tempo, della nostra Chiesa locale. Ama donando il tuo tempo senza rivolerlo mai indietro, senza mai dire che esiste un tempo per me e un tempo per Cristo: c’è un unico tempo, un unico tempo senza supplementari.
Terzo. Facendo eco a quanto hai scritto, scegli sin da ora la cura dei poveri, sceglilo dentro di te. La cura degli ultimi, anche attraverso il tempo e le modalità che la Chiesa ti affiderà e ti affida. È un’opzione la cura dei poveri, è un’opzione fondamentale, è una grazia la cura del povero. Avvolgere il povero con la stola, con la dalmatica, con la casula vuol dire avvolgere di risurrezione il Crocifisso e i crocifissi.
La Vergine santissima, tua Madre e nostra Madre, ti doni il coraggio del «per sempre», il per sempre della missione, il per sempre dell’amore, il per sempre in Cristo e per Cristo, il per sempre nella Chiesa e per la Chiesa.


Foto di Angelo Iacobucci